sabato 18 ottobre 2008

Dal football al moodball

Il calcio come veicolo di promozione del made in Italy? Si, ma solo a patto che torni a essere uno sport promotore di valori positivi, almeno stando a quanto emerso da una ricerca della Bocconi Trovato & Partners. Uno studio realizzato sia attraverso l'analisi del 'mercato' del pallone, un’industria che fattura oltre 14 miliardi di euro e che coinvolge, direttamente e indirettamente, circa 600 mila persone, sia attraverso 90 interviste a manager di grandi aziende che investono nel calcio ed esperti di economia. “Il calcio deve cambiare – ha spiegato il presidente della Bocconi Trovato & Partners, Saro Trovato - deve tornare ad essere portatore di valori positivi, un'occasione di divertimento per tutti e non un campo di battaglia per pochi. Il calcio deve ricominciare ad essere associato a sentimenti positivi, passando dal calcio violento e polemico, in una luce assolutamente negativa, a quello che definiamo moodball, ovvero il calcio associato a un'immagine e a una percezione positiva".

Ma passare dal football al moodball è impresa più facile a dirsi che a farsi. Chiunque abbia fatto un giro all’estero o segua la stampa internazionale sa bene come il nostro calcio venga considerato fuori dal Bel Paese. L’italica pelota è vista come uno sport per furbi, dove tutti gli espedienti sono buoni per ottenere ciò che conta di più: la vittoria. E questo a discapito del ‘bel gioco’ e del fair play in campo. Inoltre, la poca sicurezza dentro e intorno agli stadi non è che aiuti a dare un’immagine edificante del nostro campionato. Per risollevare la situazione gli ultimi governi, la Figc e il Coni hanno tentato soluzioni un po’ a tutti i livelli. E’ stato istituito l’Osservatorio per le manifestazione sportive (che poi sono diventati due, visto che il ministro Maroni ha sentito l’esigenza di crearne un altro) al fine di contrastare la violenza degli ultrà; a presidio degli stadi, poi, sono stati affiancati alle forze dell’ordine degli steward. Per quanto riguarda le cattive abitudini in campo, come la pratica di tuffarsi in area tipica di molti attaccanti italiani, si è cercato di eliminarle sanzionandole in maniera più pesante (cartellino giallo o rosso a seconda dell’esigenza); e poi, ve le ricordate le polemiche dello scorso anno sui giocatori che a fine gara dovevano darsi la mano ‘scimmiottando’ il terzo tempo del rugby? Tutte iniziative lodevoli, chi può dire il contrario. Ma non sembra siano servite né a migliorare l’immagine del nostro calcio né a riportare le famiglie allo stadio.

Allora, non è un caso che parte delle sponsorizzazioni sportive vengano dirottate dal mondo del calcio verso altri lidi. In particolare Moto GP e Formula 1. Ma non solo. Diversi consulenti di marketing stanno spingendo le imprese medio-piccole (che di certo non potrebbero permettersi di investire nel calcio di serie A o in Champions) a investire nel rugby. Uno sport in rapida ascesa, in cui il fair play e i valori positivi, abbinati all’agonismo e allo ‘scontro fisico’, sono parte essenziale e inalienabile della disciplina. Come ha detto circa un mese fa Andrea Bertini di Global Sponsorship Solutions a Affari&Finanza: “Mentre la Lega Calcio lotta per spuntare un miliardo di diritti, le aziende soffrono perché fanno fatica a trovare idee per abbinare i loro marchi alle discipline. Ora puntiamo sul rugby italiano, che ha le caratteristiche per diventare un’ottima case history per lo sport”. Insomma, la ‘palla ovale’ il mood ce l’ha nel sangue.

Italo Mastrangeli (Riproduzione non consentita se non con esplicita autorizzazione dell'autore)

1 commento:

Entius ha detto...

Ciao
complimenti per il blog!!!

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