domenica 26 ottobre 2008

Viggo Mortensen tifoso del San Lorenzo


"Il calcio è l'oppio dei popoli. Ma se si tengono gli occhi ben aperti su tutto quello che accade nel mondo, allora seguire il calcio non è che faccia poi tanto male".
(Dichiarazione di Viggo Mortensen alla conferenza stampa del Festival di Roma di oggi; foto fatta da me di Viggo avvolto nella bandiera del San Lorenzo, squadra argentina di cui ha detto di essere grande tifoso)

Dieci giorni di cinema per disintossicarsi dal calcio



Cari lettori,
questa settimana sarò impegnato al Festival internazionale del film di Roma e non potrò aggiornare il blog. Sto leggendo distrattamente i giornali sportivi, a cui comunque non riesco a rinunciare del tutto. Purtroppo qui non c'è nessuno con il quale riesca a parlare di calcio. Della ridicola idea di Galliani di ingaggiare Beckham per due mesi oppure della crisi della Roma di Spalletti. Di questa Inter sempre più forte e della favola del Catania. Delle imprese del Napoli di Lavezzi e delle difficoltà del Toro. Insomma, il pallone e le sua pallonate mi mancano. Anche se un po' di disintossicazione non guasta...

martedì 21 ottobre 2008

I due processi a "Lucky Luciano"

"La sentenza dei giudici sportivi ha detto che non c'è stato alcun illecito. Il processo è ancora in corso e, dunque, non può colpevolizzare (il riferimento è a De Laurentiis, ndr) persone che, al momento, sono libere da queste cose in quanto non condannate. Non dimentichiamoci che fino a prova contraria nei processi vige la presunzione d'innocenza. Per questo penso che certe dichiarazioni sono solo parole che quando fanno comodo vengono dette, quando non fanno comodo non vengono dette". (virgolettato tratto da "Il Messaggero")
Parole e musica sono sempre dello stesso autore. Luciano Moggi. E come al solito prende lucciole per lanterne. Primo. La sentenza sportiva ha stabilito che c'è stato illecito, ed è frode sportiva. Altrimenti perché gli avrebbero dato cinque anni d'inibizione? Secondo i giudici federali, Moggi alterava le c.d. "griglie", con la compiacenza dei due designatori arbitrali per favorire la Juventus e permetterle di vincere il campionato. Secondo. Il processo sportivo non è affatto ancora in corso. E' bello che finito e a Moggi il giudice d'Appello ha dato cinque anni di inibizione (mi riferisco a Calciopoli 1 e non a Calciopoli 2). A essere in corso è invece il processo penale, quello che si sta svolgendo a Napoli. Un processo che segue un altro corso rispetto a quello sportivo, ma anche un altro tipo di sanzioni da far scontare al reo. Anche se poi grazie all'indulto nessuno sconterà un bel niente nel caso venisse ritenuto colpevole. Au revoir alla prossima puntata.

domenica 19 ottobre 2008

Ultras Italia / "Ancora una volta l'Osservatorio dimostra di non saper leggere il contesto e insegue l'emergenza"

Intervista dell'amico Francesco Sellari a Carlo Balestri, responsabile del "Progetto Ultrà Uisp"
La partita Italia-Bulgaria, disputata a Sofia sabato 11 ottobre, ha segnato, per la maggioranza degli appassionati di calcio, la comparsa di un fenomeno nuovo: un tifo organizzato al seguito della nazionale. Una sorpresa sconcertante, visto il comportamento vergognoso mostrato da questi supporter. Ne abbiamo parlato con Carlo Balestri, responsabile Progetto Ultrà Uisp.

Come commenti i fatti di sabato?

C'è una rete di tifosi che da circa 5 anni ha cominciato ad organizzarsi per seguire la nazionale italiana. E' il gruppo denominato "Ultras Italia". Si tratta di un fatto inedito. Molti di loro sono accesi nazionalisti e di conseguenza hanno portato un loro "contributo politico". In diverse situazioni, la loro apparteneza politica non si è potuta manifestare in maniera molto evidente. In nazioni come l'Austria, la Germania o l'Olanda le forze dell'ordine sono intransigenti sull'esposizione di simboli inneggianti al fascismo. In Bulgaria, così come in altri paesi dell'Est la situazione è diversa, c'è molta più tolleranza rispetto a queste espressioni politiche, e quindi è stato semplice ottenere una maggiore visibilità.

Mi è sembrato che la reazione generale sia stata caratterizzata da un sentimento di sorpresa. Eppure, come ha scritto Carlo Bonini sul sito di Repubblica, questo gruppo già nel 2005 a Palermo si era trovato coinvolto in episodi analoghi, in occasione della partita Italia-Slovenia.
Le forze dell'ordine sapevano dei precedenti scontri, così come sanno chi sono e cosa fanno questi tifosi. Come al solito hanno aspettato che succedesse il patatrac. Domenico Mazzilli, presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, subito dopo la partita ha detto: "I cori 'Duce-Duce' ed il braccio teso durante l'inno di Mameli in Bulgaria non sono reato.… Io non faccio il sociologo, i reati vanno attribuiti nel Paese in cui avviene il fatto. Fino adesso questo gruppo era rimasto in riga, ora vedremo bene cosa è successo e valuteremo per il futuro".

Ma parliamo anche dei fischi all'inno di Mameli: anche quelli non sono reato, ma se mi permettete non sono educazione…. Come giudichi queste parole?
Sono parole abbastanza inquietanti. Sbarazzarsi così di quegli episodi richiamando il fatto che in quella nazione non costituiscono reato ci fa capire in che mani siamo. Mi riferisco al semplice buon senso così come ad alcune semplici regole che sono alla base di una società democratica. C'è stata una sorta di giustificazione a favore della nostra giurisprudenza, ma anche una deresponsabilizzazione. Come a dire: 'In Italia sappiamo come trattarli, li non erano sotto il nostro controllo'. Ancora una volta l'Osservatorio dimostra di non saper leggere il contesto

Ora si va verso il divieto di trasferta anche per le partite della nazionale...
Si continua a seguire l'emergenza, tra l'altro con una strategia inutile. A Sofia si potevano comprare i biglietti anche senza accordarsi con la Federazione, ma semplicemente andando al botteghino. E per di più si tratta di una risposta che crea problemi a tutti i tifosi. In questo modo si uccide la passione.

Il nazionalismo esasperato di questi tifosi è spesso sinonimo di xenofobia e razzismo. Non è un caso che Marcello Lippi sia stato coinvolto nel progetto di Moni Ovadia di realizzare un dvd sulla Shoah. Tutto ciò accade proprio nella settimana della Fare Action Week.
Action Week quest'anno prevede circa 500 eventi in tutta Europa. Molti nell'Europa dell'est. Per la stragrande maggioranza riguardano il mondo del calcio. Sono iniziative che vanno dalla semplice esposizione di striscioni antirazzisti all'organizzazione di tornei multiculturali con il coinvolgimento dei migranti. Va detto che purtroppo, anche quest'anno, latitano le squadre italiane. L'unica squadra che ha risposto alle nostre sollecitazioni, appoggiando l'Action Week, è stata la Sampdoria. I vertici del calcio italiano continuano a non fare nulla. Lippi ha fatto benissimo ad accettare la proposta di Moni Ovadia. Anche stavolta però non siamo in presenza di un'idea nata all'interno del mondo del calcio.

sabato 18 ottobre 2008

Dal football al moodball

Il calcio come veicolo di promozione del made in Italy? Si, ma solo a patto che torni a essere uno sport promotore di valori positivi, almeno stando a quanto emerso da una ricerca della Bocconi Trovato & Partners. Uno studio realizzato sia attraverso l'analisi del 'mercato' del pallone, un’industria che fattura oltre 14 miliardi di euro e che coinvolge, direttamente e indirettamente, circa 600 mila persone, sia attraverso 90 interviste a manager di grandi aziende che investono nel calcio ed esperti di economia. “Il calcio deve cambiare – ha spiegato il presidente della Bocconi Trovato & Partners, Saro Trovato - deve tornare ad essere portatore di valori positivi, un'occasione di divertimento per tutti e non un campo di battaglia per pochi. Il calcio deve ricominciare ad essere associato a sentimenti positivi, passando dal calcio violento e polemico, in una luce assolutamente negativa, a quello che definiamo moodball, ovvero il calcio associato a un'immagine e a una percezione positiva".

Ma passare dal football al moodball è impresa più facile a dirsi che a farsi. Chiunque abbia fatto un giro all’estero o segua la stampa internazionale sa bene come il nostro calcio venga considerato fuori dal Bel Paese. L’italica pelota è vista come uno sport per furbi, dove tutti gli espedienti sono buoni per ottenere ciò che conta di più: la vittoria. E questo a discapito del ‘bel gioco’ e del fair play in campo. Inoltre, la poca sicurezza dentro e intorno agli stadi non è che aiuti a dare un’immagine edificante del nostro campionato. Per risollevare la situazione gli ultimi governi, la Figc e il Coni hanno tentato soluzioni un po’ a tutti i livelli. E’ stato istituito l’Osservatorio per le manifestazione sportive (che poi sono diventati due, visto che il ministro Maroni ha sentito l’esigenza di crearne un altro) al fine di contrastare la violenza degli ultrà; a presidio degli stadi, poi, sono stati affiancati alle forze dell’ordine degli steward. Per quanto riguarda le cattive abitudini in campo, come la pratica di tuffarsi in area tipica di molti attaccanti italiani, si è cercato di eliminarle sanzionandole in maniera più pesante (cartellino giallo o rosso a seconda dell’esigenza); e poi, ve le ricordate le polemiche dello scorso anno sui giocatori che a fine gara dovevano darsi la mano ‘scimmiottando’ il terzo tempo del rugby? Tutte iniziative lodevoli, chi può dire il contrario. Ma non sembra siano servite né a migliorare l’immagine del nostro calcio né a riportare le famiglie allo stadio.

Allora, non è un caso che parte delle sponsorizzazioni sportive vengano dirottate dal mondo del calcio verso altri lidi. In particolare Moto GP e Formula 1. Ma non solo. Diversi consulenti di marketing stanno spingendo le imprese medio-piccole (che di certo non potrebbero permettersi di investire nel calcio di serie A o in Champions) a investire nel rugby. Uno sport in rapida ascesa, in cui il fair play e i valori positivi, abbinati all’agonismo e allo ‘scontro fisico’, sono parte essenziale e inalienabile della disciplina. Come ha detto circa un mese fa Andrea Bertini di Global Sponsorship Solutions a Affari&Finanza: “Mentre la Lega Calcio lotta per spuntare un miliardo di diritti, le aziende soffrono perché fanno fatica a trovare idee per abbinare i loro marchi alle discipline. Ora puntiamo sul rugby italiano, che ha le caratteristiche per diventare un’ottima case history per lo sport”. Insomma, la ‘palla ovale’ il mood ce l’ha nel sangue.

Italo Mastrangeli (Riproduzione non consentita se non con esplicita autorizzazione dell'autore)

Lippi futuro parlamentare nelle file di FI? Chissà

Nuove dichiarazioni del ct Marcello Lippi. Mentre le prime firme dei quotidiani nazionali si accapigliano per cercare di capire se assomigli di più a Pozzo oppure a Bearzot, il Marcello nazionale è stato invitato da Moni Ovadia (perché Moni, perché?) a leggere alcuni passi della Shoah per un dvd destinato alle scuole. Diffusasi la notizia, a Marcello Lippi qualcuno deve aver chiesto conto della cosa. Immediata la replica. "C'é un equivoco che voglio chiarire - ha detto il ct azzurro-. Sono stato contattato dal regista (Ovadia, ndr) che mi ha chiesto di dire qualcosa contro il razzismo. Certo, ho risposto subito, essendo contrario a qualsiasi forma di discriminazione per pelle, razza, religione o altro. Ma non ho detto che parlerò contro nazismo o fascismo. In quarant'anni di calcio non ho mai preso posizione politicamente, né voglio farlo adesso. Quando finirò la mia carriera, chissà". Dichiarazioni che hanno suscitato una vasta eco. E qualcuno si è chiesto se è mai possibile che egli non sappia che in Italia l'apologia di fascismo è un reato sancito dalla Costituzione? Personalmente però, quel che a me ha preoccupato di più è stato quel "chissà", che compare alla fine della sua dichiarazione. E mi sono chiesto: 'Chissà' se Lippi a fine mandato, o meglio a fine carriera, non voglia entrare anche lui in politica? Ci ho riflettuto un po' e mi sono reso conto che in fondo il mondo della politica (e 'chissà', forsanche il Parlameneto) è un luogo adatto a uno come lui. Con la sua inconfondibile classe, immortalata da una foto che lo ritrae con il mignolo a spulciarsi l'orecchio destro, e con un figlio - per il quale vale la presunzione d'innocenza fino al termine del processo - 'vittima' di una giustizia distorta, fatta da giudici e pm comunisti che vogliono comandare il Paese senza mandato popolare (come direbbe il cavaliere), beh, c'è un partito in cui il ct ce lo vedrei proprio bene... Un partito che sarebbe in grado di valorizzare al massimo quel visus da ultimo Paul Newman sulla terra e che gli darebbe anche la possibilità di poter sfogare il suo amore per la squadra azzurra senza alcun timore. Per un rinnovato e ancor più vero Forza Italia!

venerdì 17 ottobre 2008

Il "curs de lumbard per terùn" del ministro Maroni

Il ministro dell'Interno, nonché membro eccellentissimo della Lega Nord, Roberto Maroni ha deciso di vietare le trasferte ai tifosi del Napoli fino alla fine del campionato. Un atto che a molti potrebbe apparire come discriminatorio, ma che in realtà è solo parte di un progetto più ampio. E cioè di quel curs de lumbard per terùn, fatto di mazza e ramazza, al termine del quale la popolazione napoletana otterrà nientemeno che un certificato di buona condotta, mentre ai più meritevoli verrà data l'opportunità di visitare la terra Padana, per apprendere e poi diffondere nel 'profondo Sud' la efficientissima tecnica del lumbard al lavoro. Ma non è tutto. Maroni ha anche svelato di essersi "fatto mandare una delle magliette indossate dai tifosi napoletani con la scritta 'Io ho precedenti penali" e di tenerla in bella vista nel suo ufficio. Un gesto di difficile valutazione e che si presta ad almeno due letture: secondo alcuni Maroni avrebbe affisso la maglietta per ricordare a tutti quanto sia difficile fare il ministro in una terra (il Sud) dove i valori sono invertiti. Secondo altri per ricordare a sé stesso di essere stato condannato diversi anni fa per resistenza a pubblico ufficiale... E infine, Maroni ha anche detto di essere molto soddisfatto del lavoro svolto fin qui dal suo ministero per "contenere il fenomeno della violenza nel calcio". Bon. Ma ci sorge un dubbio: da ora in avanti, chi sarà in grado di contenere il fenomeno Maroni? Urge soluzione concreta.

venerdì 10 ottobre 2008

Uscire dalla crisi è possibile?

Crisi sempre più nera. Sì, ma come uscirne? Massimiliano Nerozzi di "La Stampa" ha chiesto a due professionisti di marketing sportivo, ovvero Mauro Mottini di Infront e Luca De Ambrogio di Spotfive, cosa ne pensano in un articolo che potete leggere in versione integrale cliccando qui.

"I marchi aziendali stampati sulle maglie delle squadre fruttano più quattrini in Germania e Inghilterra che nel Bel Paese. In Italia, secondo un’analisi di StageUp Sport&Leisure Business, i club che partecipano alla serie A quest’anno raccolgono in media dagli sponsor principali 3,9 milioni di euro. Va meglio alle società della Bundesliga, la cui raccolta media oltrepassa i 6,9 milioni di euro e a chi sta in Premier League, che guadagna poco oltre i 5 milioni di euro. Più staccata la Liga spagnola, con un ricavo medio di 2,9 milioni e la Ligue 1 francese con circa 2,5 milioni a sponsor. Il settore che versa di più è quello automobilistico, con quasi 24 milioni di euro su tre club: New Holland per la Juve, Pirelli per l’Inter e Toyota per la Fiorentina". "In futuro potrebbe andare peggio, non senza speranza però: «Sicuramente l’impatto può essere negativo - ha spiegato Mauro Mottini, direttore marketing di Infront, società che gestisce i diritti media sportivi (per l’Italia, l’ex Media Partners) - perché è chiaro che le sponsorizzazioni possono risentire di questa crisi. Che potrebbe però trasformarsi in un’opportunità, soprattutto per quelle sponsorizzazioni abbinate a un progetto di comunicazione intergrata». Molto dipenderà, insomma, anche da come si procederà: «Penso all’esempio delle Olimpiadi di Torino, dove non solo c’è stata la presenza di un marchio, ma di un progetto di sponsorizzazione. Non è che vedevi sempre il marchio Coco-Cola sulle piste, però al logo venivano associati i valori dell’avvenimento». Crisi controllabile anche per Luca De Ambrogio, ad di Sportfive, società di gestione di marketing sportivo, che lavora con Juve (per il nome dello stadio), Atalanta e Sampdoria: «Sul breve periodo l’impatto della crisi economica sulle sponsorizzazioni nel calcio può essere senz’altro negativo, ma sul medio-lungo peridio potrebbero aprirsi nuove tipologie di opportunità. Nuovi raggruppamenti di industrie o banche avranno bisogno di visibilità». Anche se la situazione italiana proprio non aiuta: «Si dovrebbe cambiare radicalmente l’immagine del calcio italiano, con gli stadi di proprietà, per esempio, così da renderlo più attraente per gli sponsor e dargli maggiore valore». Per dire: l’Arsenal ottiene ormai la metà del proprio fatturato (sui 246 milioni di euro) dagli introiti collegati allo stadio, per i club italiani vale il 15%".

Uli Hoeness, dg del Bayern: "La crisi non riguarderà i grandi club"


Nei momenti di crisi chi ha più risorse diventa più forte. Non so se questa sia una legge, ma certamente è una verità che conoscono bene al Bayern Monaco. Non è un caso, infatti, che Uli Hoeness, direttore generale della società bavarese, intervistato dalla "Bild" in merito allo tsunami finanziario e alle ripercussioni sul calcio, abbia affermato con decisione: "La crisi potrà avere conseguenze ma questo non riguarderà i grandi club". Del resto è abbastanza ovvio comprendere che se uno ha delle riserve economiche in surplus in cassaforte, mentre la gran massa della gente non ha nemmeno l'indispensabile per andare avanti, potrà acquistare a prezzi vantaggiosi merci o immobili o quant'altro. Insomma, potrà concludere buoni affari e arricchirsi ancor di più.
Un discorso semplice, che vale anche nel calcio. In fondo, quanti buoni affari hanno fatto i club italiani comprando giocatori dell'ex Jugoslavia durante la guerra nei Balcani? All'epoca prestigiose società, come la Stella Rossa o il Partizan Belgrado, cedettero campioni a due lire a un po' tutte le squadre italiane. Emblematico il caso di Sinisa Mihajlovic, passato nel '92 dalla Stella Rossa alla Roma per una decina di miliardi di lire (mi sembra 13), che però restarono tutti nelle casse giallorosse almeno fino al '98, quando Sinisa aveva già cambiato casacca un paio di volte (dalla Roma alla Samp e poi alla Lazio). Una data in cui la società di Trigoria iniziò a pagare il club di Belgrado, in modo dilazionato e a una cifra diversa da quella pattuita (evidentemente più bassa).

Rateizzare i debiti del calcio? Non conviene (di M. Liguori)

La "spalmatura" delle somme dovute a calciatori, banche, fisco ed enti previdenziali costa molto in termini di commissioni e interessi. C’è una sola via d’uscita in Italia e in tutta Europa: tagliare i costi, a cominciare dagli stipendi dei giocatori

di Marco Liguori (dal suo blog: "Il pallone in confusione")

Permettete una parola? C’è una famosa canzone napoletana scritta da Ernesto Murolo (padre di Roberto) ed Ernesto Tagliaferri, il cui ritornello dice: "E io canto: qui fu Napoli!...Nisciuno è meglio 'e me...Dimane penzo ê diebbete stasera só' nu rre!". Traduzione: Io canto, qui fu Napoli…e chi è più felice di me: domani penserò ai debiti, stasera mi sento un re. Questi versi si addicono perfettamente alla situazione del calcio italiano, che ha vissuto e continua a vivere al disopra delle proprie possibilità: la maggior parte delle società ha contratto debiti ingenti e ha chiesto di rateizzarli. In modo particolare con le banche, il fisco, gli enti previdenziali e, a cascata, con dipendenti e fornitori. Le somme dovute all’Erario sono state dilazionate: l’Agenzia delle entrate si è mostrata molto indulgente verso il mondo dell’italica pedata a causa anche di una legislazione (peraltro molto opinabile) molto meno rigorosa rispetto al passato. In questo quadro poco edificante, sono poche le isole felici come il Napoli di Aurelio De Laurentiis, dove grazie a un politica di gestione vincente sono stati incassati una serie di ingenti ricavi che hanno ripianato il debito di 32 milioni contratto con Unicredit nel 2004 per acquistare il ramo sportivo dalla curatela fallimentare della defunta Ssc Napoli.
Riguardo a costi e debiti, proprio in questi giorni è scoppiato il problema della serie B sommersa dalle passività. Una questione che le società della serie A vorrebbero risolvere con una bella e risolutiva scissione. Lo ha rivelato lunedì scorso il presidente del Cagliari Massimo Cellino uscendo dall’assemblea dei club della massima serie: "Siamo già separati, non ci resta che prenderne atto". Il numero uno sardo ha anche aggiunto che occorrerebbe farlo ora "in vista delle elezioni per il rinnovo dei vertici federali. Altrimenti dovremo aspettare altri quattro anni". Un progetto, che maschera un’eventuale superlega, che ha le sue radici nel periodo immediatamente precedente allo scandalo di Calciopoli del 2006. Antonio Matarrese ha però prontamente detto che finché ci sarà lui al vertice della lega le due categorie vivranno "sotto lo stesso tetto". Per ora tutto è stato risolto con la nuova mutualità, che è comunque meno ricca della precedente. In dettaglio, ci sono 7,5 milioni di euro che saranno elargiti dalle tre neopromosse e che vanno ad aggiungersi ai 65-70 (cifra dipendente dai ricavi della Coppa Italia) che giungeranno dalla serie A e ai 7 garantiti dall’advisor per la vendita dei diritti del campionato.
L’eventuale ipotesi di scissione è completamente assurda e non serve ad alleviare le forti passività delle società. Ciò si può spiegare con una citazione dal celebre libro "Ab urbe condita" di Tito Livio: sicuramente piacerebbe al presidente della Lazio, Claudio Lotito, che forse se ne approprierebbe. In esso si narra dell’apologo di Menenio Agrippa alla plebe in sciopero sul Monte Sacro a Roma: egli paragonò la società dell’Urbe al corpo umano, dove ogni membro ha una parte ben definita e necessaria per il suo corretto funzionamento. Ebbene, anche la serie A e la serie B possono essere paragonate a un unico organismo: le squadre cadette hanno forgiato calciatori, e spesso anche campioni, acquistati da quelle della massima serie che offrivano un sostentamento per la categoria inferiore. Così il sistema è andato avanti per anni, fin quando non è arrivata l’era della tv criptata e dello scopo di lucro delle società calcistiche che ha demolito tutto. Occorrerebbe ripristinarlo con forme aggiornate e appropriate: ha tanto giovato in passato al movimento pallonaro.
Invece, si è pensato alla scissione tra i due campionati, poiché qualcuno pensa che la B sia una specie di "zavorra" economica: ma è un vero e proprio suicidio. Per il momento è stata posta in un cassetto: ma niente vieta che possa essere riproposta in un futuro nemmeno troppo lontano. Per i cadetti è stata ideata anche la "spalmatura" degli elevati stipendi dei calciatori. Ciò significa, come fu cinque anni fa per il "piano Baraldi" alla Lazio, soltanto spostare nel tempo le cifre dovute ai giocatori. Si ricordava all’inizio che le società sono debitrici verso gli istituti di credito, il fisco e gli enti previdenziali: anche qui si applica la regola del "quant’è bello rateizzare". Ma questo genere di operazioni si traduce in una serie di costi ulteriori: per il svolgere un piano di ripartizione delle somme dovute occorre ottenere le fideiussioni bancarie oppure assicurative. La quale si traduce in altri costi in termini di commissioni, anche se spesso è accompagnata dall’investimento in prodotti che concedono somme di denaro. I debiti inoltre creano interessi molto consistenti, oltre ad eventuali rivalutazioni, che devono essere onorati: essi costituiscono una sorta di "tassametro" che scatta in continuazione, poiché in gran parte dei casi le squadre hanno ottenuto prestiti con saggi variabili. E con la crisi finanziaria attuale e il tasso di riferimento bancario Euribor schizzato alle stelle non gli interessi non sono destinati a scendere, almeno per ora. Insomma, la rateazione non conviene poi così tanto: anzi, è un modo per pagare di più in maggior tempo. L’unica cosa da fare è tagliare i costi: a cominciare dagli ingaggi dei calciatori. Lo ha capito anche l’Uefa, che ha cominciato a scagliare il suo anatema dell’esclusione dalle coppe contro tutte le società indebitate. E ci sono anche i club inglesi, che fino a pochi mesi fa erano additati come modello: ora si scopre che hanno un buco di ben 3,8 miliardi di euro. Il problema è quindi internazionale: la serie B è solo la punta dell’iceberg. Bisognerà vedere se c’è la concreta volontà da parte dei dirigenti del mondo del pallone europeo di sedersi al tavolo e cambiare tutto: una volontà che finora non traspare. Ma il mondo del calcio riuscirà a evitare di fare la fine del Titanic?

Diritti della Coppa Italia e Rai. Non sarebbe l'ora di divorziare?


Asta per la Coppa Italia: la Rai offre 6 milioni, la Lega Calcio ne chiede 14. In proposito ha scritto Fulvio Bianchi: "Antonio Matarrese sarà costretto ad avviare una trattativa privata, ma siccome l'unica emittente interessata pare proprio la Rai, ecco che non sarà semplice arrivare almeno a quota dieci milioni".
E mi chiedo, perché la Rai dovrebbe finanziare il Calcio (in questo caso la Coppa Italia) oltre la misura stabilita dalle leggi di mercato? La differenza tra i sei milioni offerti e la probabile chiusura a dieci, cioè quattro milioni di euro, non possono essere definiti anch'essi 'aiuti di stato'? Se Mediaset si tiene alla larga dall'asta, non sarà forse perché ai suoi sponsor della Coppa Italia non gliene frega niente?
E' tempo che il calcio italiano si dia una ridimensionata. Se è in grado come sistema di generare profitti bene, altrimenti è inutile ingrassare questi miliardari a spese anche del contribuente. I regali della Rai, così come quelli del governo (come il c.d. decreto 'spalmadebiti') e degli altri Enti pubblici (con gli stadi e la sicurezza garantiti anch'essi con denaro del contribuente) al calcio devono finire. Se il Campionato italiano non ha lo stesso appeal della Premiership è inutile gonfiare il sistema con aiuti mascherati. Bisogna farsene una ragione e cercare nuove strategie per far crescere i profitti e/o abbassare i costi.

(Foto della Coppa Italia con in bella mostra lo sponsor Tim, la società di telecomunicazioni del marito di Paola Ferrari, la conduttrice della Domenica Sportiva. Insomma, il solito conflitto d'interessi all'italiana...)

La crisi di Galliani e le risposte dei tifosi

"In una crisi del genere, sai che ci frega se non c'è più il Campionato"; "I problemi saranno grossi, e sai che c'importa di ventidue miliardari in pantaloncini che corrono". Questi alcuni commenti dei lettori apparsi qua e là su internet dopo le dichiarazioni di Galliani sull'impatto della crisi finanziaria anche sul Campionato di calcio. L'ex presidente di Lega si era detto molto preoccupato perché "la crisi finanziaria mondiale avrà ripercussioni sul calcio, in particolare sulle sponsorizzazioni e gli abbonamenti alla pay tv". "Ma se il mondo si impoverisce- aveva proseguito Galliani- le ricadute sono per tutti e il mondo del calcio non è più colpito di altri settori". A differenza del dirigente rossonero, qualche altro lettore ha interpretato la crisi in maniera 'costruttiva'. "Fosse la volta buona che ci leviamo sta pay tv dai maroni- ha detto un lettore sul "Messaggero"-. Calcio solo la domenica e tutte le partite alle 15. Tetto salariale e stipendi a chi si impegna, chi non lo fa non viene pagato. Sono professionisti? Lo siano fino in fondo". Mica male no?

giovedì 9 ottobre 2008

La Tamoil interessata alla Roma. Solo speculazione o c'è qualcosa di vero?


Speculazione o reale interesse? Questo il problema, dopo le recenti voci di una possibile cessione della Italpetroli (la holding dei Sensi, che controlla la Roma) alla Tamoil del finanziere egiziano Roger Tamraz (che, ricorderete, prima di calciopoli aveva firmato un contratto di sponsorizzazione con la Juventus per un importo complessivo in 10 anni di 354 milioni di dollari). Un dubbio più che lecito, soprattutto dopo l'esperienza Soros. Il magnate americano, il cui interessamento al club giallorosso produsse una forte speculazione sulle azioni AS Roma, che in pochi mesi triplicarono il proprio valore passando da poco più di 0,50 cent a 1,50 euro cadauna. Poi, con la fine della trattativa tra Soros, Rosella Sensi e la Unicredit (terminata con un nulla di fatto), il titolo è tornato grossomodo al suo valore iniziale (ora viene scambiato a 0,65 cent.).
Nei giorni scorsi, prima delle voci dell'interessamento di Tamraz, il titolo è però tornato a oscillare. E parecchio. Le difficoltà finanziarie della Unicredit, la banca a cui la Italpetroli è debitrice per oltre 360mln di euro e che è tra le più esposte nella crisi dei mutui, ha fatto perdere alle azioni giallorosse in una sola mattinata oltre l'8%. Poi, nel pomeriggio, la ripresa e la chiusura con una perdita contenuta dello 0,47%. E questo grazie alle voci di un possibile coinvolgimento nella società di Trigoria di un altro finanziere, il franco-tunisino Tarak Ben Ammar (il quale ha negato poco dopo ogni indiscrezione in merito).
Ieri invece, con Piazza Affari che in un sol colpo ha perso il 5,72%, l'AS Roma ha 'tenuto' (-1,82%), con il valore delle azioni fissato a 0,62 cent. Questo, come hanno scritto analisti di borsa, proprio grazie alle voci di stampa sul possibile acquisto della Roma da parte di Roger Tamraz.
Dunque, è certamente in atto una forte speculazione sul titolo AS Roma, eppure la "Gazzetta dello Sport" continua a sostenere che la Tamoil sia realmente interessata alla Italpetroli. "Alla metà della scorsa settimana- ha scritto Massimo Cecchini sulla "Gazzetta" di oggi-, il fondatore della Tamoil ha incontrato Rosella, Maria Cristina e Silvia Sensi per formulare i suoi progetti". "I sussurri all'interno della holding (la Italpetroli, ndr) raccontano come la trattativa viaggi spedita- ha proseguito Cecchini- e non è da escludere la possibilità che Tamraz acquisti la Italpetroli e rivenda poi il club a qualche partner (probabilmente Usa) più interessato al mondo dello sport".
Insomma, il futuro della Roma si dipana ancora una volta su strade che portano verso petrolieri e sceicchi (non fu l'offerta, vera o presunta, di uno sceicco a far saltare la trattativa con George Soros?). Miliardari, che qualche mese fa Romy Gai definiva "i futuri padroni del pianeta". Ma non della AS Roma.

(Foto: Arnold van Heyst)

Bufale campane e romane


(Fonte: Goal.com)

No, forse il 31 agosto le cose non sono andate propriamente come i media hanno titolato all'indomani della turbolenta trasferta a Roma da parte dei tifosi del Napoli. E' la conclusione cui è giunta un'inchiesta condotta per Rainews24 da Enzo Cappucci e ripresa da Marco Travaglio sul suo blog, "Voglio Scendere".

"Il 31 agosto - ricostruisce Travaglio - prima giornata di campionato, tg e giornali annunciarono che un’orda di ultras napoletani in partenza per Roma avevano assaltato l’Intercity “Modigliani” Napoli-Torino devastandolo, malmenando i controllori e sequestrando decine di passeggeri terrorizzati. Unica fonte della presunta notizia: un comunicato di Trenitalia che parlava di “treno interamente vandalizzato, danni ingenti a 11 carrozze, azionato più volte il freno d’emergenza, prima stima dei danni circa 500 mila euro”. Meglio del Vangelo".

"Che ne è di quel po’ po’ di casino a un mese di distanza? - si chiede ora il giornalista - L’ha spiegato l’altra sera, in un’illuminante inchiesta dal titolo “La bufala campana”, l’inviato di Rainews24 Enzo Cappucci sulla scorta delle conclusioni del pm che segue il caso, Antonello Ardituro. Tanto rumore per nulla. Nessun arresto, nessuna devastazione. Solo alcuni episodi di danneggiamento. Nessuna bomba carta, al massimo qualche petardo e bengala. Delle lesioni ai controllori, per ora, nessuna traccia: Rainews ha chiesto invano i referti medici. Delle 11 carrozze “vandalizzate”, Trenitalia ne ha messe a disposizione degl’inquirenti solo 4: le altre continuano tranquillamente a viaggiare. E i “danni per 500 mila euro”? Nemmeno l’ombra. Digos e Carabinieri parlano di 80 tendine danneggiate, qualche sedile tagliato, due vetri rotti e un water divelto (ma che abbiano fatto tutto gli ultras è da provare, viste le condizioni in cui versano i treni anche senza ultras): roba da qualche migliaio di euro, non di più".

"E gli “assalti alle due stazioni?”. Altra bufala - spiega ancora Travaglio - normali immagini di ordinaria tifoseria domenicale. Rainews mostra le sequenze dei tifosi veronesi che lasciano Napoli un paio d’anni fa, insultando poliziotti e napoletani nella solita nuvola di fumogeni (allora, però, sui giornali non uscì nemmeno un trafiletto). Cappucci intervista alcuni testimoni oculari. Tommaso Delli Paoli, segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil: “Gli ultras non sono angioletti, ma non è accaduto niente di quel che si è voluto raccontare. Normali tensioni tra gli ultras con biglietti e documenti, che volevano raggiungere lo stadio di Roma, e i responsabili di Trenitalia che han bloccato il treno prima in stazione e poi di nuovo in aperta campagna. Non credo che abbiano tirato il freno d’emergenza, avevano fretta di arrivare a Roma. Pare che il treno mostrato in tv non fosse quello vero”. Violenze sul personale, sugli agenti e sui passeggeri? Due giornalisti sportivi austriaci, anch’essi sul treno incriminato, non han visto “nessuna violenza o scontro. Devastazioni? No, il treno era troppo pieno perché qualcuno potesse muoversi. L’unica paura è stata quella di perderci la partita, visto che il treno non partiva”".

mercoledì 8 ottobre 2008

Anche il football inglese è in crisi?


La crisi, ormai endemica del calcio italiano, ci ha abituati, forse costretti, a sentire parlare di bilanci in rosso, di plusvalenze fittizie, di doping amministrativo o del denaro 'bruciato' in borsa dalle tre società quotate a Piazza Affari (Roma, Lazio e Juventus). Alcuni, sanno, e a ragione, che tali difficoltà economiche derivano, o sono conseguenza, dello scarso dinamismo dell'economia nostrana. Ora fa impressione sapere che anche nella ricca Inghilterra, modello per antonomasia del business pallonaro mondiale (costruito sulla relazione marchandising + stadi di proprietà + diritti tv collettivi), il football non se la passi poi tanto meglio del nostro vituperato calcio. Basta fare un 'giretto' tra i siti dei maggiori quotidiani e blog inglesi per accorgersi di quanti e quali club d'Oltremanica siano ai limiti della bancarotta, tra cui il Chelsea, il Liverpool, il Man. United, il West Ham e chissà quanti altri ancora. I problemi pare derivino dalla mancanza di trasparenza, di vigilanza e di regole: esattamente gli stessi problemi a cui si sta cercando di far fronte negli Usa e un po' in tutto il mondo. Almeno stando a quanto denunciato da Lord Triesman, presidente della Federcalcio inglese, che ha invitato il governo britannico a disporre nuove norme per regolamentare il mondo del football. "Nonostante un'impressionante montagna di debiti- ha detto il presidente-, quantificata dagli analisti della City in oltre 3,5 miliardi di euro, il calcio inglese fatica a contenere i costi, come dimostra il monte ingaggi complessivo, cresciuto nell'ultimo anno di oltre il 12%. Una situazione economica sempre più preoccupante, anche a causa dello sbarco in Premiership di numerosi proprietari stranieri. I quali stanno sì sostenendo investimenti enormi, ma contemporaneamente stanno contribuendo alla crescita, forse 'incontrollata', del debito delle squadre". Secondo il "Times", tra i club più a rischio ci sarebbe il West Ham di Gianfranco Zola, pesantemente colpito dalla crisi finanziaria che ha investito il suo proprietario, l'islandese Bjorgolfur Gudmundsson. "I presidenti frazionano i debiti e li mescolano assieme. Non è solo una questione di sostenibilità economica, ma anche di trasparenza", ha spiegato Lord Triesman.
Timori comunque che non sono condivisi da tutti. Come ha riportato stamane l'Ansa, Richard Scudamore, direttore generale della Premier League, ha invece sottolineato come proprio la dinamicità del mercato inglese sia alla base del successo internazionale della Premiership. «Le condizioni economiche attuali dei 92 club professionistici sono identiche a quelle di 12 mesi fa - ha detto Scudamore -. Sono tutti brand di successo, i debiti fanno parte della governance di ogni azienda»".

(Fotomontaggio: juicyrai)

martedì 7 ottobre 2008

In piena crisi finanziaria, i titoli di Roma e Lazio sono tra i migliori a Piazza Affari


Che i titoli dell’AS Roma e della SS Lazio potessero allettare lo ‘spazzino’ Paulson (intendo il ministro del Tesoro Usa, da non confondere con il centrocampista della Juve, Poulsen) è cosa alquanto verosimile. Ma, mi chiedo, è mai possibile che quei titoli possano essere un buon investimento per un sano di mente? Beh, pare proprio di sì, almeno stando ai dati elaborati dall’ufficio studi R&S di Mediobanca sull’andamento di tutti i titoli nell’ultimo anno a Piazza Affari. Un’analisi, che ha rivelato che le due società romane sono state nell’ultimo anno, udite udite, tra le migliori otto in termini di redditività su un totale di 279 S.p.A. esaminate. Precisamente hanno guadagnato un +25,8% i biancazzurri e un +9,5 i giallorossi. Un fatto eccezionale per il calcio in Borsa, solitamente accusato di avere immesso nel mercato titoli a forte volatilità e preda di speculazioni finanziarie di basso rango, e su cui nessun broker serio si sognerebbe di scommetterci un euro.
Ma come ha spiegato il giornalista Luca Iezzi su “Affari&Finanza”, “siamo ancora lontani dal riabilitare il calcio in Borsa”. “La Roma a inizio settembre 2007 viaggiava a quota 0,67 cent. e stava avviandosi a uno dei suoi periodici rally, che gli avrebbe fatto sorpassare quota un euro solo 20 giorni dopo- ha proseguito Iezzi-. Quindi basta spostare il periodo di rilevazione di qualche settimana per trasformare il segno positivo in una forte perdita. Inevitabile per un titolo che ha oscillato in 12 mesi tra 0,50 e 1,50 euro sulle voci di un possibile cambio di proprietà: cosa che per la Roma pesa più dei risultati sportivi”. Discorso più o meno simile per la Lazio. “L’inaspettato rendimento nel campionato di serie A, che vede i biancoazzurri al comando dopo quattro giornate (ora siamo alla sesta, ndr), ha portato il titolo- ha precisato Iezzi- a guadagnare il 31,9% in una sola settimana”.
Comunque il risultato positivo dei titoli di Roma e Lazio è da valutare come estremamente favorevole, considerando che hanno ‘tenuto’ quando tutti gli altri mediamente perdevano il 38%. Una stabilità, che si spiega anche con i buoni risultati di bilancio e l’aumento del 56% degli abbonati. Eppure, nonostante la buona gestione, ha spiegato Iezzi, e i dati elaborati da R&S “non toglieranno le due società dalla black list della Consob, che le costringe ogni mese a aggiornare la loro posizione finanziaria”.

domenica 5 ottobre 2008

Napoli fuori dalla Uefa/Mancati incassi e diritti tv

Una sconfitta che fa male, quella di Lisbona. Al di là della delusione per come è finita in Portogallo, l'eliminazione dalla coppa Uefa al primo turno lascia infatti segni anche nella cassaforte azzurra. Perché Europa vuol dire anche danaro. Nel caso del Napoli un bel mucchio di milioni, vista la sua capacità d'attrarre spettatori al San Paolo e di triplicarli per ogni partita se al tifo da stadio s'aggiunge quello da poltrona. Carta canta. Anzi, urlano le cifre degli incassi Uefa. Una competizione in cui non si divide nulla. Ogni club, infatti, prende tutto quando gioca in casa. E quel che ha preso il Napoli non è roba da poco. Tra Panionios, Vllaznia e Benfica, infatti, sono stati poco meno di 130mila i biglietti venduti ai botteghini. E a prezzi differenti a seconda della gara. Meglio, dell'avversario. Tant'è che pur contando un numero minore di presenze rispetto a quella con i greci, la partita col Benfica ha portato al Napoli ben 600mila euro in più. Tre partite, dunque, e in tasca quasi tre milioni. Ma questa è solo una delle tre voci che partecipano al conto complessivo degli incassi. L'altra, pure milionaria, è ovviamente legata alla tv. Alla cessione dei diritti. A Sky, insomma. Un contratto particolare quello tra il club e la televisione. Non un «fisso», ma una cifra direttamente legata alla pay per view. Ovvero una percentuale, questa, sì, fissa - settanta per cento al Napoli e il restante alla tv - per ogni «contatto». Cioé, su ogni acquisto. E poiché chi ha comprato la partita l'ha sempre pagata 10 euro e poichè gli acquisti sono stati più o meno 100mila a gara, il conto, seppure ufficioso, è presto fatto: dalla cessione dei diritti per tutte e tre le partite il Napoli ha ricavato quasi due milioni. Terza voce attiva, i contribuiti Uefa. Ovvero: 100mila euro una tantum a chi come il Napoli è uscito nello scontro diretto, più 80mila euro fissi a gara, più altri 50mila in caso di vittoria. E poiché prima del ritorno con Benfica il Napoli ha giocato e vinto cinque volte, il contributo complessivo è stato di 750mila. Insomma, l'esperienza europea ha portato nelle casse azzurre più o meno cinque milioni e mezzo. Niente male. Niente male, però, anche quel che è costato al Napoli non raggiungere la fase successiva, quella a gironi. Otto, composto ciascuno da cinque squadre, con quattro partite da giocare. Due in casa e altrettante fuori. Un traguardo che avrebbe quasi raddoppiato quanto incassato dal Napoli sino al match in Portogallo. Cifre presunte, certo, ma cifre medie sulla scorta di quanto accaduto sino ad oggi. E allora, almeno 3 milioni per i due incassi delle partite interne; quasi un milione e mezzo per i diritti tv e, calcolando due vittorie su quattro (per il pari l'Uefa assicura 20mila euro), altri 260mila euro. Euro più euro meno, 4 milioni e mezzo. Fosse stato così, alla fine della fase a gironi, fosse rimasto pure fuori, il Napoli avrebbe portato complessivamente a casa una decina di milioni. Che sono proprio quelli che nell'ultima stagione ha messo in tasca lo Zenit vincendo la coppa Uefa. Ma lo Zenit ha incassato poco allo stadio e soprattutto non ci ha ricavato molto dalle televisioni. Fosse capitato al Napoli...

(Fonte: Eurosport)

sabato 4 ottobre 2008

Lo psicologo Alberto Cei: "I crack finanziari come il doping"

L'ANALISI DELLO PSICOLOGO ALBERTO CEI: "ATLETI E MANAGER SOTTO PRESSIONE E ALLETTATI DA PREMI E STOCK OPTIONS"

La logica dietro la crisi che sta travolgendo la finanza mondiale è la stessa che spinge gli atleti a ricorrere al doping: la ricerca del successo ad ogni costo, fomentata da un sistema che spinge ad ottenere il massimo dei risultati anche in spregio delle regole. Nel suo prossimo libro in corso di pubblicazione, intitolato "I Signori dei tranelli", Alberto Cei, professore di psicologia all'Università di Tor Vergata (Roma) e di Cassino, propone un'interessante paragone tra la finanza globale e il mondo dello sport di alto livello.

"Parliamo sempre di persone di successo: atleti che vincono le Olimpiadi, multimiliardari - ha dichiarato Cei nel corso di un'intervista rilasciata a Repubblica.it. I Signori dei tranelli - ha spiegato Cei - "sono le persone di successo che ritengono di non poter mai essere perseguite, che vivono in un ambiente nel quale si sentono sicure. Al tempo stesso, su di loro grava una forte pressione sociale che li spinge a ottenere il massimo, anche illegalmente. Hanno anche una serie di premi, stock options per i manager, che incentivano ancora di più questo atteggiamento. La loro è un'attività intenzionale: non sono mele marce, sono persone assolutamente brillanti, oltre a essere socialmente ben posizionate".

"Quello che conta è la ricerca del risultato ad ogni costo - ha aggiunto - Sicuramente ottenere i risultati è un fatto auspicabile, come lo è vincere nello sport: è il come che è diventato patologico. L'assenza totale di controlli, l'esaltazione dell'orientamento al rischio, la pressione sociale si uniscono al desiderio legittimo di vincere e di accumulare denaro. Ha prevalso una sorta di cultura dell'arroganza. Non era sbagliato l'obiettivo, ma il modo, unito alla consapevolezza che i controlli sono inesistenti. I controlli costituiscono un forte elemento di deterrenza, perché "i signori dei tranelli" non vogliono perdere la faccia di fronte al proprio ambiente sociale: puoi fare quello che vuoi, ma se vieni scoperto vuole dire che non sei stato abbastanza bravo e vieni eliminato. Però non vanno bene il controlli solo alla fine: le persone così non hanno un argine".

(Fonte: Uisp)

Carraro esce dal processo di Napoli, ma le nebbie ancora lo avvolgono


Prosciolto. A Napoli, il gup ha deciso di rinviare a giudizio per Calciopoli 19 imputati. Non Franco Carraro, estraneo ai reati a lui ascritti di frode sportiva e associazione a delinquere. Non è la prima volta che l’ex presidente della Figc se la cava e viene assolto con formula piena. Era già accaduto nel 1990 nel processo per i lavori allo stadio Olimpico di Roma e nel processo sportivo a Calciopoli nel 2006. Eppure, nonostante ciò, troppe nebbie avvolgono ancora la sua figura per riabilitarlo di fronte all’opinione pubblica.

Uomo per tutte le stagioni, Franco Carraro è stato uomo di potere non solo nello sport, dove ha ricoperto tutte le cariche più prestigiose, da presidente della Lega Calcio a quella di capo della Federazione, fino alla poltrona più autorevole del Coni. Lo sport è sempre stato il centro di gravità dei suoi affari, ma anche in politica e in economia egli ha comunque recitato un ruolo di primo piano. Come politico è stato, nelle file del Psi, sindaco del Comune di Roma, poi ministro del Turismo. In economia ha avuto diversi incarichi in banche (come Capitalia) o in imprese di alto profilo, come la Impregilo, società che si occupò della ricostruzione dello stadio Olimpico di Roma per Italia ’90 e che negli ultimi mesi è tornata alla ribalta per le responsabilità nella gestione della ‘monnezza’ campana.

Significativamente, Carraro, in entrambi gli scandali che hanno coinvolto la Impregilo, era altrove e non ricopriva alcuna carica in seno alla società della Fiat.

Di Carraro, dunque, possiamo dire che è stato uno con le mani in pasta un po’ dappertutto, ma che è sempre riuscito a togliersi dagli impa(i)cci prima che gli finissero addosso. O almeno, quasi sempre. In due occasioni, infatti, le cose non sono andate per il verso giusto.

Dicevamo delle sue vicende giudiziarie. Prima di Napoli, ma sempre nell’ambito dello scandalo Calciopoli, Carraro è comparso come imputato eccellente al processo sportivo in cui è stato coinvolto un po’ tutto il calcio che conta (Juve-Milan-Lazio-Fiorentina-Moggi-Galliani, etc.). In Primo Grado, l’allora presidente della Figc si era beccato 4 anni e mezzo di inibizione, trasformatisi poi in Appello in una multa da 80 mila euro più ‘diffida’, per aver chiesto via telefono all’allora designatore Bergamo di favorire la Lazio di Lotito (lo scopo doveva essere quello di agevolare una sua rielezione a in seno alla Figc). Ma la cura dimagrante imposta a tutti gli imputati dopo la restaurazione dei vertici del calcio (con a capo il duo Abete-Matarrese), gli aveva consentito in Camera di Conciliazione di perdere la ‘diffida’; poi il Tar gli avrebbe tolto pure la multa da 80 mila euro. Mica male per uno che era partito con una condanna molto simile a quella di Moggi (5 anni di inibizione) e dei suoi soci.

Ma prima ancora, il signor Franco Carraro era uscito indenne da un’altra vicenda: nel 1990, lui, Pescante (segretario Coni), Gattai (presidente Coni) e Primo Nebiolo (membro Cio) erano stati invischiati in un’indagine della magistratura ordinaria, volta a scoprire se l’aumento dei costi dello stadio Olimpico, il cui prezzo era lievitato dai circa 80 miliardi di lire agli oltre 200 iva esclusa, fosse avvenuto in maniera fraudolenta o meno. In particolare i pm accusavano i quattro di aver appaltato i lavori in modo poco trasparente, favorendo la Cogefin; e che l’offerta pubblica di 80 miliardi fosse stata accettata nonostante sapessero in anticipo che la società torinese non avrebbe rispettato il budget con cui aveva vinto la gara (che infatti salì, triplicando). Carraro venne accusato in quanto, come sindaco della Capitale, era cogestore dello stadio Olimpico e aveva concesso l’autorizzazione al progetto. Anche in quell’occasione, Carraro venne assolto dal gup di quel ‘porto delle nebbie’ che è il Tribunale di Roma. Un paio di anni dopo, scaduto il mandato di sindaco, Carraro divenne il presidente della Cogefin, che nel frattempo aveva cambiato denominazione, diventando la Impregilo.
(Foto: Metaphotos)

venerdì 3 ottobre 2008

Football Mafia

Le mani della mafia stringono la presa sul calcio? E’ da almeno un anno che ogni giorno veniamo informati di nuove sconvolgenti rivelazioni sul complicato rapporto tra calcio e mafie. Un fenomeno che, lungi dall’essere circostanziato al Sud d’Italia, sembra essersi diffuso ai quattro angoli del pianeta. In questo post Laleggendadelcalcio si è posto come obiettivo quello di disegnare una mappa di questo rapporto, attraverso una cronostoria delle principali inchieste su cui la magistratura ordinaria, quella sportiva, nazionale e non, e i giornalisti stanno lavorando. Dai "pizzini" di Lo Piccolo scoperti quasi un anno fa, ai biglietti falsi di Inter-Roma in mano alla camorra, dal caso Chinaglia-Lazio alle presunte combine degli ultimi Mondiali di calcio, fino alla Coppa Uefa vinta dallo Zenit.

Il caso Palermo. La vicenda che vede coinvolto il Palermo iniziò nel dicembre 2007, dopo l’arresto del boss Salvatore Lo Piccolo e di suo figlio Sandro (acciuffati nel mese di novembre), e la scoperta di alcuni ‘pizzini’ travati nel loro covo. Alla vigilia di Capodanno, il grande giornalista de "La Repubblica" Francesco Viviano firmò un articolo in cui svelava i rapporti tra Totò Milano, un mafioso condannato al primo maxi-processo alla mafia a 5anni e quattro mesi di reclusione, e il Palermo Calcio. Il ruolo di Milano nel Palermo era quello di ‘osservatore’ incaricato di scovare nuovi talenti del football e, sempre secondo Viviano, era sempre assieme alla prima squadra. Seguiva regolarmente gli allenamenti e usava lo stesso aereo con cui i rosanero andavano in trasferta. Inoltre, Milano aveva contatti con i dirigenti del Palermo, tra i quali Rino Foschi, l’ad Sagramola e Giovanni Pecoraro, e informava i Lo Piccolo di tutto il business della società. Dai lavori in corso al campo di allenamento a Boccadifalco, al progetto per il nuovo stadio che si dovrebbe realizzare nel quartiere Zen.

Poi la cronaca di questi giorni, con gli arresti dell'avvocato Marcello Trapani e dell'ex responsabile del settore giovanile del Palermo Giovanni Pecoraro da parte della giustizia ordinaria e con l’apertura dell’inchiesta da parte della Figc. Secondo la Procura federale i dirigenti del Palermo, compreso Rino Foschi, allontanato ad agosto da Zamparini (“per altri motivi e non per le indagini”, ha precisato il presidente), sarebbero stati intimiditi dagli uomini dei Lo Piccolo per perfezionare alcune compravendite di calciatori graditi a Cosa Nostra. Inoltre la Procura sta indagando su un giro di biglietti omaggio che sono finiti direttamente nelle tasche dei boss di San Lorenzo (anche su questa vicenda Zamparini ha dichiarato di esserne estraneo).

Ma la vicenda del Palermo calcio non si chiude qui. C’è un altro filone ancora aperto e riguarda le scommesse sui risultati dei rosanero, di cui si sono occupati in particolar modo due giornalisti del "Sole24Ore": Umberto Lucentini e Claudio Gatti.

L’articolo di Lucentini è del 17 dicembre 2007 e riferisce dell’indagine del commissario capo della polizia Manfredi Borsellino, il figlio di Paolo, su scommesse in nero fatte all’interno di alcuni punti vendita Snai, prefigurando i reati di “evasione fiscale, esercizio abusivo continuato di attività di gioco e di scommesse, e di truffa aggravata continuata”. Per questo la magistratura notificò avvisi di garanzia ad amministratori delegati di punti scommessa collegati alla "Elle Group Srl" e a tre legali rappresentati della società. Fatti, che ispirarono, seppur parzialmente, Claudio Gatti, che in un articolo del 15 gennaio 2008, spiegava il modo in cui la mafia si stava impossessando non delle scommesse clandestine, ma di quelle legali. Al centro, sempre un "pizzino" di Lo Piccolo, nel quale il boss annotava di voler acquistare una sala Bingo. “Sul fronte delle scommesse, l'attenzione di tutti è rimasta finora sempre concentrata sulle attività clandestine- ha scritto Gatti-, ma un'inchiesta de “Il Sole24Ore” porta a concludere che è bene guardare al settore legale (…) Il problema è che il settore ha una vulnerabilità normativa che permette a chiunque di puntare anonimamente decine di migliaia di euro ogni giorno per poi incassarne più o meno altrettanti. Puliti e dichiarabili. (…) Alla gara per le agenzie scommesse non ippiche tenuta nel dicembre 2006 dai Monopoli di Stato hanno concorso soggetti che pur di aggiudicarsi un punto vendita erano pronti a pagare cifre inimmaginabili. ‘Sono arrivate offerte con cifre sproporzionate’ ha confermato Fabio Felici- intevistato da Gatti-, uno dei maggiori esperti del settore, direttore di Agicos, l'agenzia giornalistica specializzata nel settore del gioco. ‘Con quei numeri e in quelle dislocazioni’ ha concluso l'imprenditore, ‘la griglia parametrica dimostra che è impossibile rientrare con l'investimento’”. “Quello delle sale scommesse potrebbe essere non solo il metodo più sicuro per ripulire denaro sporco. Ma anche il più economico- ha proseguito Gatti- Riciclare attraverso le scommesse può costare meno della metà della media. Ci sono infatti programmi di software che permettono a chi gioca di quantificare le cifre da scommettere sulle partite di calcio distribuendole tra 1, X e 2, in modo tale da non perdere più del 12% della cifra totale. E se a riciclare fosse lo stesso esercente che gestisce il punto vendita, il costo si ridurrebbe a un decimo di quello medio”.

Dal profondo Sud al ricco Nord. Il 24 giugno 2008 Marco Liguori sul suo blog ha raccontato una strana vicenda, iniziata nei pressi di San Siro nel 2001, poco prima dell’inizio del match tra Inter e Roma. Alcuni balordi, tra i quali spiccava la figlia del boss di camorra Antonio Caiazzo (Giovanna Caiazzo), vennero trovati in possesso di 70 biglietti contraffatti per la tribuna. Dopo anni di udienze, nel 2008 tutti gli imputati sono stati assolti perché "i quattro enti indicati come parti offese (ossia Inter, Lega Calcio, Federazione e Tim) non sono soggetti di diritto pubblico ma di diritto privato", e dunque per procedere era necessaria una querela di parte. Querela mai giunta al tribunale.

La camorra dietro la scalata della Lazio.
Si è detto molto di Chinaglia e della sua scalata alla Lazio, delle minacce a Lotito e del ruolo avuto dagli ultrà. Quello che interessa in questa sede riguarda però le nuove indagini che nel luglio scorso hanno trasformato l’aggiotaggio, reato per cui fino ad allora Chinaglia era imputato, in un reato ben peggiore: l’associazione mafiosa e il riciclaggio di denaro sporco. Fiamme Gialle e Polizia di Roma hanno scoperto, infatti, che dietro la scalata della Lazio nel 2006 ad opera di un gruppo farmaceutico ungherese c'era un disegno criminoso da parte del clan camorristico dei Casalesi per riciclare denaro sporco. Il nome di Chinaglia figurava tra le 10 persone destinatarie dell'ordinanza di custodia cautelare, perché intestatario "di conti correnti italiani ed esteri dove sarebbero dovuti confluire in tre tranche i 24 milioni destinati all'acquisto della società, riconducibili in ultima istanza al clan camorristico, secondo quanto riferito da una fonte investigativa" (virgolettato: Reuters).

Football e International Mafia.
Ma i rapporti tra calcio e mafia non riguardano solo la Penisola. Ormai sono diffusi a livello internazionale. Ma come al solito anche quando il crimine gira oltre le Alpi, gli italiani in qualche modo c'entrano sempre. Mi riferisco all’inchiesta fatta dal giornalista e scrittore canadese Declan Hill, che nel suo libro ha denunciato la combine di alcune partite degli ultimi Mondiali, tra cui le gare dell’Italia contro Ghana e Ucraina. Forse Hill è solo uno scrittore in cerca di popolarità e di pubblico per il suo libro. Il presidente della Fifa, poi, aveva rilasciato delle inoppugnabili dichiarazioni in merito, affermando che Hill aveva fatto solo delle ipotesi, avvalorando, di fatto, l'idea che Hill fosse soltanto uno in cerca di un po' di pubblicità. Poi però è accaduto qualcosa di strano. In primis, le federazioni chiamate in causa da Hill, così come i calciatori diffamati nel suo libro non hanno fatto nulla, nemmeno una querela di parte (per diffamazione o calunnia). Inoltre, due giorni dopo le dichiarazioni di Blatter, la Fifa ha aperto un'inchiesta per appurare la veridicità delle tesi sostenute da Hill. Un’inchiesta voluta da Blatter, uno che in due giorni dunque è riuscito a smentire sé stesso.

Lo Zenit. Infine il caso Zenit, che però pare sia tutta una bufala. L’indagine della magistratura spagnola denominata “Operacion Troika” è nata da alcune intercettazioni telefoniche, in cui un mafioso russo (tale Petrov) avrebbe sostenuto di aver comprato la finale di Coppa Uefa tra lo Zenit e il Bayern Monaco per 50 mln, forse di dollari. Ma proprio in queste ora pare che il caso si stia sgonfiando, almeno stando a quanto scritto da 'Tuttomercatoweb' (articolo che ho preso dal blog di Federico Casotti, Calcio Totale). “La situazione riguardante il sospetto di corruzione da parte della mafia russa avvenuta prima del ritorno di semifinale della scorsa Coppa UEFA fra Bayern Monaco e Zenit San Pietruburgo nelle ultime ore pare volgere sempre più verso la bufala. Dalla Germania hanno fatto sapere di non aver ricevuto alcun materiale sufficiente ad aprire un'inchiesta. Dallo stesso quartier generale del Bayer Monaco arrivano più risate che smentite. L' attaccante Miroslav Klose ha fatto sapere di essere 'rammaricato' per non aver visto un centesimo di questi famosi 40 o 50 milioni di un imprecisata valuta. Anche in Spagna, la magistratura pare non aver sufficienti prove per procedere. Tutto pare dissolversi in una bolla di sapone insomma. Il tecnico dello Zenit, Dick Advocaat, stamattina, a margine della conferenza stampa pre-campionato ha ironicamente reclamato quei soldi: "Devono darli a me, sono io che ho fatto vincere lo Zenit".