La crisi, ormai endemica del calcio italiano, ci ha abituati, forse costretti, a sentire parlare di bilanci in rosso, di plusvalenze fittizie, di doping amministrativo o del denaro 'bruciato' in borsa dalle tre società quotate a Piazza Affari (Roma, Lazio e Juventus). Alcuni, sanno, e a ragione, che tali difficoltà economiche derivano, o sono conseguenza, dello scarso dinamismo dell'economia nostrana. Ora fa impressione sapere che anche nella ricca Inghilterra, modello per antonomasia del business pallonaro mondiale (costruito sulla relazione marchandising + stadi di proprietà + diritti tv collettivi), il football non se la passi poi tanto meglio del nostro vituperato calcio. Basta fare un 'giretto' tra i siti dei maggiori quotidiani e blog inglesi per accorgersi di quanti e quali club d'Oltremanica siano ai limiti della bancarotta, tra cui il Chelsea, il Liverpool, il Man. United, il West Ham e chissà quanti altri ancora. I problemi pare derivino dalla mancanza di trasparenza, di vigilanza e di regole: esattamente gli stessi problemi a cui si sta cercando di far fronte negli Usa e un po' in tutto il mondo. Almeno stando a quanto denunciato da Lord Triesman, presidente della Federcalcio inglese, che ha invitato il governo britannico a disporre nuove norme per regolamentare il mondo del football. "Nonostante un'impressionante montagna di debiti- ha detto il presidente-, quantificata dagli analisti della City in oltre 3,5 miliardi di euro, il calcio inglese fatica a contenere i costi, come dimostra il monte ingaggi complessivo, cresciuto nell'ultimo anno di oltre il 12%. Una situazione economica sempre più preoccupante, anche a causa dello sbarco in Premiership di numerosi proprietari stranieri. I quali stanno sì sostenendo investimenti enormi, ma contemporaneamente stanno contribuendo alla crescita, forse 'incontrollata', del debito delle squadre". Secondo il "Times", tra i club più a rischio ci sarebbe il West Ham di Gianfranco Zola, pesantemente colpito dalla crisi finanziaria che ha investito il suo proprietario, l'islandese Bjorgolfur Gudmundsson. "I presidenti frazionano i debiti e li mescolano assieme. Non è solo una questione di sostenibilità economica, ma anche di trasparenza", ha spiegato Lord Triesman.
Timori comunque che non sono condivisi da tutti. Come ha riportato stamane l'Ansa, Richard Scudamore, direttore generale della Premier League, ha invece sottolineato come proprio la dinamicità del mercato inglese sia alla base del successo internazionale della Premiership. «Le condizioni economiche attuali dei 92 club professionistici sono identiche a quelle di 12 mesi fa - ha detto Scudamore -. Sono tutti brand di successo, i debiti fanno parte della governance di ogni azienda»".
(Fotomontaggio: juicyrai)
mercoledì 8 ottobre 2008
Anche il football inglese è in crisi?
alle 13:37
Etichette: crisi, economia, finanza, Premiership
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