giovedì 29 ottobre 2009

Calcio, mafia e omertà

di Pino Corrias (voglioscendere.ilcannocchiale.it)

Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, si è guadagnato un posto da candidato sindaco di Corleone. Ma non per le prossime amministrative. Per quelle, già avvenute, del 1970. Intervistato da Klaus Davi, Petrucci ha detto:"Le cosche? Sono fuori dal mondo dello sport e non lo condizionano. L'episodio di Agrigento è circoscritto e la giustizia sportiva è immediatamente intervenuta per squalificare il dirigente dell'Akragas calcio che aveva dedicato la vittoria a un boss mafioso arrestato pochi giorni prima".

Di fronte ad affermazioni come queste parlare di sottovalutazione del fenomeno non ha senso. A Petrucci sarebbe bastato consultare le collezioni dei giornali per scoprire quello che tutti, a parte lui, sanno benissimo: la mafia, la cammorra e l'ndragheta nel calcio ci entrano da anni. E a piedi uniti. Perché, come si legge in una lettera tra due mafiosi calabresi sequestrata a Castrovillari, il football ha "un ritorno di immagine incredibile e fatto a livello aziendale porta posti di lavoro e guadagni insperati".

Qualche esempio: nel 2004 il clan dei casalesi tentava di rilevare la Lazio con 24 milioni di euro. La settimana scorsa invece si è costituito, dopo due anni di latitanza, il boss Michele Labate, condannato a 14 anni e considerato il "padrone" della zona dove sorge lo stadio di Reggio Calabria. Non certo un caso. Visto che Labate è il cognato del vice-presidente della Reggina, Gianni Remo, appena assolto al termine di un processo per estorsione. A Palermo invece nel 2007 il direttore sportivo dei rosanero Rino Foschi si era visto recapitare a casa per Natale una testa di agnello mozzata. Tra i procuratori dei calciatori c'era infatti un uomo del clan Lo Piccolo. E spesso, come ha dimostrato l'inchiesta, in campo non entravano i giocatori più bravi, ma quelli sponsorizzati dai boss. Il calciatore che gioca anche pochi minuti su un campo di serie A aumenta infatti il suo valore. E può essere rivenduto con guadagni che finiscono per ingrassare le casse dei clan.

Ovviamente tutto questo il presidente del Coni, non lo sa. E non sa nemmeno come moltissime squadre delle serie minori nelle tre regioni controllate dalla criminalità organizzata facciano capo a famiglie di mafia. In questo modo è pure più facile avvicinare i giocatori più importanti e finire per condizionare, come è accaduto decine di volte, i risultati delle partite. Perché, ma al Coni non lo hanno detto, il mercato delle puntate clandestine (e spesso pure quello dei centri scommesse ufficiali) è controllato dalle cosche.

Noi però dobbiamo stare tranquilli. Non c'è niente di cui preoccuparsi. Il calcio e lo sport sono nelle mani giuste. Quelle di Petrucci.

lunedì 12 ottobre 2009

La dura provetta di Cannavaro


(Il Fatto Quotidiano del 10 ottobre)

Fantastico Fabio che fa sempre notizia. Ormai tra calcio, sponsor e casi collaterali è un po’ la Cuccarini in cucina di qualche anno fa. Adesso è un doping non dopabile, è il solito cortisone che si affaccia surrettiziamente come ai tempi delle cure agli occhi di Davids.
Per il mitico Fabio, uno dei migliori difensori del mondo degli ultimi vent’anni, stavolta è un’ape malandrina, che punge, da cui il farmaco, e il pasticcio tra Juventus e Federcalcio, che invece non pungono. E’ evidente che l’antidoping andrebbe fatto prima ai dirigenti di società e a quelli federali, per i giocatori specie quelli importanti, è francamente sprecato. Non è una cosa seria. E’ solo grave, quindi non conta. Mi ricordo di Cannavaro e del suo filmato ridanciano, dieci anni fa, mentre si faceva le flebo prima di un match di Coppa mi pare a Mosca, con il Parma. Mi ricordo di Cannavaro premiato con il Pallone d’oro mentre moriva Puskas, ovvero due etiche agli antipodi. Insomma mi ricordo sempre e comunque di Cannavaro.

lunedì 5 ottobre 2009

Le responsabilità mancate di Abete


Che cosa significa "mi assumo le mie responsabilità" e che conseguenze comporta? Se fate parte del mondo politico-pallonaro, beh, lo sapete benissimo: non significa un bel niente. Prendete Giancarlo Abete, presidente della Figc, finito nel calderone mediatico perché domenica scorsa, sui campi di calcio, non ha disposto il minuto di raccoglimento per le vittime del nubifragio di Messina. Il Nostro, in una trasmissione tv, si è giustificato dicendo che "c'è stato un difetto di coordinamento", e che "quando si commettono degli errori (come in questo caso, ndr) bisogna ammetterli". "Chi e' a capo di un'organizzazione- ha aggiunto Abete- deve assumersi la responsabilita".
Ma che significa responsabilità senza conseguenze? Se un normale cittadino investito di un qualche potere, e dunque di responsabilità (perché come è noto potere e responsabilità vanno a braccetto), non si comporta in modo conforme alla sua posizione, rischia seriamente di perdere o il posto di lavoro o la sua autorità. Cosa che dovrebbe accadere certamente a chi occupa i vertici di una organizzazione dove - come è noto - non si può, per definizione, commettere grossolani errori (come mi sembra essere il caso in discussione). Non per Abete, non per i nostri politici, che sbagliano a iosa senza mai pagare dazio. In Italia, incredibilmente, chi ha potere non deve rendere conto ad alcuno. Invece di sentire sulle spalle il peso della responsabilità se ne libbra appena posa il culo sulla Poltrona. Messaggio del giorno: da Carraro ad Abete sono cambiati i volti del potere, non la sostanza.