sabato 24 novembre 2007

Il Calcio che unisce: la storia di una squadra di ragazzini rom a Tor di Quinto


Alle 18 di oggi con Genoa-Roma riprende il campionato, finalmente!, dopo le tristi cronache di queste due settimane. E c'è voglia di parlare di calcio come sport. Un'occasione buona per ricordare che il football può essere anche unione e tolleranza ce la dà Marco Iaria, che nell'edizione romana de "La Gazzetta dello Sport" (poche pagine allegate al quotidiano nazionale) ha raccontato la storia di una squadra di ragazzini rom e romeni che fino a pochi giorni fa vivevano negli accampamenti di Tor di Quinto, il quartiere della periferia romana finito sotto i riflettori dopo l'omicidio di Giovanna Reggiani lo scorso 30 ottobre. Un fatto che ha riacceso l'odio xenofobo e aperto un caso diplomatico tra Italia e Romania. L'articolo di Iaria, dal titolo "Quei rom campioni di fairplay", non è visibile per coloro che non vivono nel Lazio e sul sito "gazzetta.it" non ce n'è traccia. Per questo ho deciso di "ri-mediare" questa bella storia. Che inizia tre anni fa su una pista ciclabile nei pressi di Tor di Quinto, dove monsignor Giovanni D'Ercole e l'arbitro Salvatore Paddeu avevano l'abitudine di allenarsi. Un giorno, vedendo nell'adiacente campo nomadi un gruppo di bambini, ai due viene l'idea di convinrceli a giocare a calcio. Per strapparli dalla strada stringono un accordo secondo cui chi vuole far parte della squadra deve obbligatoriamente frequentare la scuola. In pochi giorni mettono su un team con tanto di divise che s'iscrive al torneo delle Acli. "Il primo anno però è stata dura", ha commentato Iaria. La squadra arriva ultima al torneo e i ragazzini (tra i 10 e i 13 anni) sono guardati con diffidenza e ricoperti di insulti (tipo: "Zingaro di m... tornatene al tuo paese"). Di quei momenti Iaria ha raccontato che "gli 'Ercolini' (questo il nome della squadra, ndr) porgevano l'altra guancia, un sorriso e via". Alla seconda stagione i ragazzini rom vincono il campionato e tutti pian piano si accorgono di che pasta sono fatti. "Poi gli altri- ha scritto Iaria-, quelli che gli stolti definirebbero normali, hanno capito. E un giorno, il giorno della finale, si sono presentati in tribuna a fare il tifo per loro. Perché gli 'Ercolini' sono ragazzi rom e romeni che danno lezioni di comportamento su di un campo di calcio". Questa la loro vittoria più importante. "I bambini si sono sempre distinti nel comportamento- ha affermato l'arbitro Paddeu a 'La Gazzetta dello Sport'- mai una protesta, mai una reazione alle offese. Con il tempo hanno conquistato la stima di tutti e le mamme degli altri ragazzi, che prima storcevano il naso, si sono dovute ricredere". Purtroppo però, dopo la tragedia all'uscita della stazione ferroviaria di Tor di Quinto, quel clima di esasperazione si è riversato anche contro di loro che colpe non ne possono avere. "Gli sgomberi- ha scritto sempre Iaria- li hanno riportati in mezzo alla strada e, con le loro famiglie, si sono trovati un'altra sistemazione di fortuna, in un interstizio della Roma sotterranea. A scuola alcuni bambini sono costretti ad aspettare in aula l'arrivo dello scuolabus per evitare di prendere botte e insulti dagli altri compagni". "Qualche bambino si è perso di vista- ha concluso Iaria- ma il progetto non è tramonato, tutt'altro". Insomma, nonostante le difficoltà, la favola continua.

venerdì 23 novembre 2007

Tifare non è reato

In un'Europa dove non esistono frontiere interne e dove è libera la circolazione di uomini e merci, i tifosi italiani appaiono come bestie in gabbia. Tutti, senza distinguo. La questione qui non è quella di suddividere i buoni dai cattivi come si faceva alle scuole elementari o medie, ma attiene piuttosto al tema annoso della giustizia (penale) e alla sua attuazione in un Paese che si definisce democratico. Sul Corriere della Sera di martedì 20 novembre, Alessandro Pasini si è domandato se "è possibile ottenere un Sistema che distingua le curve, punisca solo coloro che dentro lo stadio, identificati pure dai satelliti, i disastri li fanno davvero e lasci alla maggioranza la libertà di andare a tifare dove vuole?". Il quesito di Pasini, lungi dall'essere retorica, pone una domanda che si connette all'idea di democrazia. E allora mi chiedo: Che cosa ha di democratico uno Stato che tratta tutti i tifosi come se fossero potenziali criminali? I tifosi, prima di essere appassionati della loro squadra, non sono cittadini con doveri e diritti? Oppure l'Italia non è più uno Stato di diritto?
Eppure per far funzionare il Sistema basterebbe far pagare chi sbaglia (in modo proporzionale al reato commesso); chi invece si comporta in modo corretto dovrebbe vedere i propri diritti rispettati. Invece no. Nella situazione attuale non esistono distinguo. Il "peccato" dell'essere tifoso è omologato al reato dell'ultras che devasta. Tutto questo perché? Per questioni di sicurezza, dimenticando che proprio in nome di questa (come nel caso della difesa nazionale), sono stati perpetrati alcuni tra i danni peggiori alla democrazia. Una sicurezza poi richiamata e innalzata a valore solo nei casi di emergenza estrema. Accade così nel calcio, ma accade così in tutte le vicende italiane (dalle "stragi del sabato sera" fino alla questione dei "romeni"). Eppure l'emergenza, che arriva alla gente da fatti contingenti, in realtà nasce da qualcosa di più profondo. Qualcosa a cui non si è messo un freno prima e che ora esplode in tutta la sua ferocia. Come la cronaca degli scontri tra ultrà e polizia di questi giorni, che ha solo reso manifesta una violenza che da Raciti era rimasta tra le quinte. E che lì dietro ha tramato, aspettando solo il momento giusto per esplodere. Pensare ora di risolvere tutto associando il "peccato" di essere tifosi con i reati commessi da criminali appartenenti troppo spesso a bande ultrà, non è parte di uno Stato civile. Inoltre chiudere le curve, inibire a chi ne ha voglia di andare in trasferta, possono essere strumenti utili sul momento (anche se la cosa va dimostrata), ma non risolvono nulla e non aiutano il calcio ad uscire dalla fossa in cui si trova. C'è bisogno invece di una strategia a lungo termine, fatta di buon senso e volontà. E che discrimini chi compie reati da chi non li fa. Perché tifare può essere un "peccato" ma non è reato.

mercoledì 21 novembre 2007

Se il calcio è morto lo è anche il Belpaese

Il blogger francescofacchini ha terminato il suo sciopero contro "qualsiasi forma di calcio come sistema di spettacolo e intrattenimento spinto", iniziato il giorno dopo la morte di Sandri. Ne sono lieto. Ho pensato molto alle sue parole nel post intitolato "Il Calcio è morto, facciamogli almeno il funerale". In generale sono d'accordo con la sua visione ma vorrei approfondire alcune questioni in evidenza.
Punto primo. Nel post lei ha citato una frase di Alessandro Nesta, il quale ha detto: "Di cosa ci stupiamo? Il calcio è esattamente lo specchio della nostra società". Sono d'accordo e siamo in molti a pensarla così caro francescofacchini (ad esempio Oliviero Beha è da almeno una ventina di anni che lo afferma). Ma naturalmente la cosa non può e non deve essere una giustificazione per chi, come gli ultrà, ha commesso illeciti che vanno puniti.
Punto secondo. Ha scritto che non vuole più nel suo blog raccontare le "animalesche" imprese degli ultrà: per "spegnere i riflettori dell'attenzione" e così farli smettere di esistere. La sua proposta ha precedenti illustri. Come McLuhan che nel '78 consigliò ai media italiani di non parlare delle Brigate Rosse che avevano appena sequestrato Moro. Condivido la sua scelta, probabilmente commentare le gesta infami degli ultrà porta a poco o a niente. Penso infatti che l'attenzione di un columnist (anche se su un blog) deve focalizzarsi sulle scelte che il potere politico, calcistico e istituzionale, attua per cercare di risolvere i problemi, dirimere le controversie. Ad esempio, in questi anni le scorribande del mondo ultrà (tanto per restare in tema, ma si potrebbe anche parlare della gestione del dopo calciopoli, di diritti tv, del doping sportivo e amministrativo, ecc.) hanno fatto cronaca. Ma mi chiedo, che cosa ha fatto di serio la nostra classe politica per risolverlo? Dopo Raciti il governo, sotto la pressione dell'opinione pubblica, ha messo i "tornelli", gli "steward", i biglietti nominativi. Eppure, come tutti sanno, le curve sono sempre terra di nessuno, dove i più "forti" dettano le proprie leggi. Inoltre, nonostante i nuovi dispositivi, nella curva atalantina di domenica 11 novembre è entrato addirittura un "tombino", poi usato per sfasciare il muro di plexiglass.
Infine. Lei ha proposto di chiudere il Calcio e ha scritto: "Poi lo sport esiste anche senza il calcio". Immagino che la sua sia una provocazione dettata dall'emotività che ha coinvolto un po' tutti. Comunque mi sento di dissentire. E allora le propongo: 'Perché non chiudiamo l'Italia? In fondo il mondo esistetebbe anche senza il Belpaese e le sparatorie di mafia e camorra'.
Il calcio non è solo violenza e affarismo così come il Paese non è solo mafia e corruzione. Il dovere di tutti quelli che vogliono dignità e giustizia, che si possono avere solo attraverso il rispetto di regole condivise, è proprio quello di denunciare, svelare, far capire.
Il calcio, come qualsiasi fatto sociale di una certa rilevanza, è indice di uno stato di cose. Ma è anche uno sport. I valori dello sport (la socialità, l'impegno, la sana sfida, il rispetto delle regole) sono infranti nel calcio. Ma non solo nel calcio. In tutte le sfere di questa società. Dove chi fa le regole è il primo ad aggirarle. Dove l'impegno - la meritocrazia - è umiliata dalla scelta clientelare. Dove la socialità è solo business e l'emozione merce da vendere. Il calcio, come la nostra Italia, non sta molto bene. E' dovere di tutti, in particolar modo è dovere della stampa e del sano giornalismo, impegnarsi affinché i valori dello sport, come quelli della democrazia, s'instaurino nella coscienza e nel vivere quotidiano. Questo Paese non varrà molto, ma è il nostro. Tutti ne abbiamo bisogno. Non si può alzare bandiera bianca...
Mastro
P.S.: La risposta di Francesco Facchini è disponibile cliccando qui.

lunedì 19 novembre 2007

Ritorna il grido: "forza, Italia!"

Grazie Silvio,
che hai deciso di fondare un nuovo partito e di sciogliere Forza Italia. Grazie per aver riconsegnato a tutti i tifosi della Nazionale il grido più bello perché spontaneo. Quel "forza, Italia!" che non si poteva più pronunciare con incoscienza senza temere di fare propaganda al tuo partito. Obbligando molti (tifosi, giornalisti, blogger, ecc.) a optare per i meno seducenti "forza azzurri" o "forza ragazzi". Ora tutto è finito, grazie e "forza, Italia!"
Mastro

domenica 18 novembre 2007

Italia va a Euro 2008

Con un colpo di testa di Panucci al 90' l'Italia stende la Scozia e stacca il biglietto per Euro 2008. Sotto una pioggia battente e un Hampden Park di Glasgow gremito, che spettacolo!, i Campioni del mondo hanno finalmente violato il tabù che ci voleva mai vittoriosi in terra scozzese. Una bella partita, dura ma corretta, contro un avversario che avremmo voluto vedere con noi in Austria al posto della Francia. Ora non resta che battere le Far Oer e arrivare primi nel girone... e solo per il piacere di vedere i nostri presuntuosi vicini di casa ancora una volta sotto.

mercoledì 14 novembre 2007

Un salto di qualità nella strategia ultras?



Ritorno sui fatti successivi alla morte di Sandri di domenica scorsa. Agli scontri di piazza e negli stadi, in particolare alla gestione della cosa da parte del Viminale e delle forze di polizia. Sui media italiani c’è stato un ampio dibattito in tema e in molti, io stesso in questo blog, hanno sentito la necessità di criticare il modo in cui è stata data la notizia della morte del giovane romano. Anche il Sindacato di Polizia ha accusato il Viminale (e le decisioni prese dall’ufficio stampa) di poca trasparenza nella diffusione delle notizie, cosa peraltro in parte responsabile della reazione ultrà. Fin qui tutti d’accordo mi pare. Ma a furia di biasimare le forze dell’ordine, non siamo stati in grado di riconoscerne i meriti. Pensate, che sarebbe accaduto se durante gli scontri un ultrà fosse stato ucciso o gravemente ferito?
In tema di comunicazione il Viminale ha certamente fatto degli errori. E nella società moderna la comunicazione è importantissima (cosa che tutti riconoscono senza la necessità di portare esempi), tanto che sono in molti a pensare ad un tentativo (forse maldestro) di occultamento della verità. Ma anche con una perfetta gestione informativa nessuno può scommettere che gli scontri non avrebbero avuto luogo lo stesso. Certo le probabilità forse sarebbero state minori, ma voglio ricordare che per “eccitare” l’animo delle bande ultrà basta poco. E quando quel poco neanche c’è se lo costruiscono da soli, come accaduto nel derby di Roma del 2004 (guarda post precedente).
Del perché i gruppi ultras solidarizzino tra di loro contro lo Stato ci sono diverse teorie. Business, affermazione politica o, viceversa, strumentalizzazione politica, conseguenza di uno spirito anti-statale tipicamente italiano, ecc. (Oliviero Beha ha sostenuto che "gli ultras non sono la parte malata di un Paese, bensì una parte del Paese malato cui metter mano molto più onestamente, energicamente e coralmente di quanto non si faccia, in un’emergenza che urla il suo principio di realtà nel calcio come altrove"). Ma ora che gli ultras, sia di destra che di sinistra, agiscono in modo coordinato, alcuni sostengono la tesi di una pianificazione degli scontri contro le 'guardie' al fine di solidificare i legami tra bande ultrà. In effetti la morte di Sandri ha provocato in tutte le bande un senso di solidarietà, rafforzando una comune appartenenza. Ad esempio nel posto dove è stato freddamente assassinato il giovane dj - figura ‘sacralizzata’ dagli ultrà nonostante a quanto sembra non fosse uno di loro - ci sono sciarpe e bandiere di tutte le squadre. A Roma in piazza c’erano ultrà romanisti e laziali insieme. Lo stesso ai funerali. Secondo uno studio dalla stagione 2005-2006 al 2006-2007, sono aumentati gli scontri con le forze di polizia e più che triplicati gli agenti feriti; sono invece diminuiti gli scontri tra diverse bande ultras e i tifosi feriti in scontri tra loro sono scesi del 20% (Fonte: Osservatorio Naz. Sulle Manifestazioni sportive del Min. Interno). Un dato preoccupante, tanto che un noto sociologo, Franco Ferrarotti, intervistato dal ‘Corriere della Sera’ di ieri, ha parlato di “salto di qualità” nella strategia ultras. Se così fosse, è necessario mettere in guardia coloro che ancora associano il mondo ultrà al calcio. Se così fosse, gli ultrà userebbero il calcio solo come uno strumento per fare proseliti tra i tifosi e per guadagnare visibilità mediatica. E' allora tempo che la politica si prenda le sue responsabilità e inizi a fare del calcio uno sport, non un Far West, non un mondo dove conta solo il business . "Perché- come ha scritto Beha- da questa domenica non esce l’immagine di un Paese in cui è avvenuto “un tragico errore” bensì quella di un Paese sconvolto, attraverso il calcio ma non solo".

lunedì 12 novembre 2007

Una domenica di ordinaria follia

"L’agente della polizia stradale che ha ucciso Gabriele Sandri non si è accorto della rissa. Nemmeno ha intuito che, nell’area di servizio Badia al Pino lungo l’A1, due piccoli gruppi di juventini e laziali se le erano appena date di santa ragione. L’agente è stato messo sul chi vive dal parapiglia. Era lontano, dall’altra parte della carreggiata. C’è chi dice duecento metri, chi cento, in linea d’aria. Ha sentito urla e grida. Ha visto un fuggi fuggi e un’auto che velocemente – o così gli è parso – si allontanava dall’area di servizio. Ha pensato a una rapina al benzinaio. Ha azionato la sirena. L’auto non si è fermata. Ha sparato. Ha ucciso.”

Questa la ricostruzione, secondo il quotidiano La Repubblica , della triste vicenda della morte di Gabriele Sandri, il giovane tifoso della Lazio al seguito dei propri beniamini, ucciso da un colpo d’arma da fuoco da un poliziotto della stradale in un autogrill nei pressi di Arezzo. Se sono buone le fonti de La Repubblica e quindi se è vero il testo sopra citato, la tragedia di ieri, come ha scritto Giuseppe D’Avanzo, “poteva non avere come canovaccio principale la violenza che affligge il mondo del calcio ma, più coerentemente, il caso la probabilità, l’errore”. Ho pensato molto, tra ieri e oggi, se scrivere della vicenda di ieri. Poi mi sono deciso. Perché se, come ha sostenuto D’Avanzo, l’omicidio di Sandri non riguarda il mondo del calcio tout court, i successivi fatti di cronaca, lo scoppio di disordini generalizzati in tutta la penisola (con protagonisti da una parte le forze dell’ordine e dall’altro gli ultras), purtroppo lo sono: non è la prima volta che accade, speriamo che sia l’ultima.

Forze di polizia vs ultras
Mentre nei pressi dell’autogrill di Badia al Pino un colpo d’arma da fuoco poneva fine alla vita di Gabriele “Gabbo” Sandri, in tutta Italia s’innescava una spirale di violenza: sospese le partite Atalanta-Milan dopo 7’ e Taranto-Massese dopo 13’ per le intemperanze dei propri tifosi; caserme della polizia assaltate a Milano e Roma da bande di ultrà alleate in una perversa caccia al poliziotto; e così via, in una domenica di ordinaria follia. Che fa riemergere prepotentemente la questione, irrisolta, tra ultras e forze di polizia. “Tutte le tifoserie unite contro gli sbirri, non ci fermerà più nessuno”, “10, 100, 1000 Raciti”: sono solo alcune delle minacce di alcuni ultrà che si possono trovare sul web, mentre sugli stessi siti c’è in generale una tendenza a “sacralizzare” la morte di Sandri, come se fosse un compagno che ha perso la vita in battaglia (forse il giovane era invece solo un simpatizzante di una squadra di calcio, come in Italia siamo un po’ tutti, e che amava fare con gli amici una scampagnata, un pranzo, e poi vedere la partita e tornarsene tranquillamente a casa). Una santificazione simile, anche se con alcune differenze sostanziali, a quella di Raciti: per questo non è un caso se uno degli slogan di un gruppo di ultras della Lazio è stato proprio contro il poliziotto ucciso a Catania (mi riferisco al vergognoso 10,100,1000 Raciti). “Come se Raciti e Sandri- ha scritto D’Avanzo- fossero i caduti su fronti opposti di una allucinata guerra, dichiarata tanto tempo fa e ancora in corso, domenica dopo domenica, scontro dopo scontro, carica dopo carica”.
Ritengo che questa forma di terrore, o orrore, domenicale, debba cessare. L'odio degli ultrà verso la polizia non è facilmente comprensibile. Sono stati scritti alcuni saggi sul tema (ne proporrò una lista prima o poi), ma in altri paesi la letteratura è ben più vasta (come in Inghilterra dove il problema Hooligans sembra sia stato risolto). In sostanza l'odio verso le forze dell'ordine è presente nella mentalità ultras fin dalle origini, in quegli Anni 70 (c'è però chi sostiene che le radici dell'odio siano molto più antiche), quando la protesta sociale e la violenza di un mondo, quello giovanile, non accettava più l’autorità dei propri padri (il padre, l’insegnante, il tutore dell’ordine, il politico, ecc.). Un tifo organizzato con una forte connotazione politica estrema, sia di destra (che oggi sono la maggior parte) che di sinistra. Ha scritto in proposito John Foot, insegnante di Storia presso il Dipartimento di italiano dell’University College di Londra, nonché grande appassionato di Calcio (italiano), sul suo libro “Calcio: storia dello sport che ha fatto l’Italia” (2007, ed. Rizzoli pag. 355) :
“Tutti i gruppi ultrà – di destra o di sinistra – si organizzano attraverso forti gerarchie, vivendo quasi come unità militari, in particolare durante le partite. I loro nemici erano gli altri tifosi e i poliziotti, descritti spesso come ‘assassini’. Uno striscione esposto dagli ultrà del Cosenza riassunse questa filosofia: ‘Basta con la violenza. Via la polizia dagli stadi’. Come tutte le tribù, gli ultrà avevano i loro trofei, miti eroici o martiri. Gli aneddoti, le vicende – spesso tramandati oralmente o raccontati su fanzine o su siti internet – di solito riguardavano scontri con altre tifoserie. E visto lo schieramento di forze di polizia presenti allo stadio, le risse avvenivano altrove: per strada, alle stazioni e soprattutto presso gli autogrill, i veri campi di battaglia degli ultrà negli Anni 80 e 90. I miti ultrà esaltavano il coraggio e stigmatizzavano la codardia. Molti canti accusavano infatti i tifosi rivali di sfuggire al confronto fisico”.
Secondo l’esimio professore il tifo degli ultras può inoltre essere paragonato ad un credo religioso. “Sia i tifosi che i fedeli- ha scritto Foot- partecipano a riti fisici e ideologici, e vestono in modo preciso, spesso immutabile. Questi rituali sono anche verbali; si pensi solo alla ripetizione di determinati canti, sotto la guida di leader carismatici. I tifosi si ritengono parte di una ‘fede’. È qualcosa cui non possono rinunciare, neanche volendo, e che li accompagnerà fino alla tomba, talvolta oltre(...). Questi riti sono più importanti della partita stessa. Nella loro visione del mondo la storia è stata abolita, rimpiazzata da una serie di miti e cerimonie autoreferenziali”. Talvolta il loro modo di operare produce elementi positivi nel folklore calcistico, come ad esempio le coreografie (peraltro baluardo della retorica politica di Mussolini). In generale sono delle organizzazioni paramilitari che cercano consenso esterno e interno. E gli scontri con le "guardie" sono parte integrante della loro ideologia. Come ha scritto Edmondo Berselli in La Repubblica del 24.3.2004, gli scontri con la polizia diventano “un momento simbolico potentissimo, modulabile dal minimo coro: ‘mestiere di merda/carabiniere’, al massimo, cioè l’attacco, gli incendi, i vandalismi, il conflitto aperto con tecniche di guerriglia urbana”.
Gli ultrà, con la loro "politica", hanno dimostrato spesso la loro forza, almeno all'interno di uno stadio. Come nel derby di Roma del 2004, quando si diffuse la falsa notizia dell'uccisione di un bambino da parte della polizia. Ero presente alla cosa e mi ricordo gli appelli alla calma dell'allora prefetto di Roma Achille Serra, sostenuto da un alcuni rappresentanti di Roma e Lazio. Ricordo che il prefetto aveva detto che non era stato ucciso nessuno. Ma alla fine prevalse la linea degli ultras che invocavano la sospensione della partita (con i successivi scontri con la polizia nei pressi del foro italico), nonostante la notizia era, come il prefetto aveva esplicitamente sostenuto, falsa. La gente, i giocatori in campo, forse lo stesso presidente di Lega, avevano creduto agli ultrà e non allo Stato.

Per concludere torniamo alla vicenda dell'autogrill di ieri. D'Avanzo nel suo articolo alla Repubblica, sempre se la ricostruzione fatta dal quotidiano sia vera, ha scritto un duro atto d'accusa verso la polizia per come ha gestito la diffusione delle informazioni date alla stampa. "Consapevole che non di calcio si trattava- ha scritto D'Avanzo-, ma del tragico deficit professionale di un agente lungo un’autostrada, il Viminale non ha ritenuto di dover fermare le partite muovendo l’ennesimo passo falso di un’infelice domenica. Il racconto contraffatto è stato accreditato di ora in ora senza correzioni. Rilanciato e amplificato dai media, ha acceso come una fiamma in quella polveriera che sono i rapporti tra le forze dell’ordine e l’area più violenta degli stadi, prima e soprattutto dopo la morte di Filippo Raciti a Catania. L’illogica catena di errori, malintesi, confusioni, silenzio e furbe manipolazioni – non degne di un governo trasparente, non coerenti con una polizia cristallina – ha trasformato la morte di Sandri in altro. L’ha declinata come ‘morte di calcio’. È diventata una ‘chiamata’ per l’orgoglio tribale degli ultras che, incapaci di esaurire la loro identità in una passione, a vivere il calcio come una buona, adrenalinica emozione, hanno bisogno solo di odiare, di posare a guerrieri, di mimare la partita come protesta e battaglia”.
La ricostruzione di Repubblica è in effetti molto diversa da quella della Polizia di Stato. Nel comunicato emesso dall'ufficio stampa del Viminale infatti si parla di una baruffa, scoppiata verso le 9, tra ultrà e sedata da un poliziotto che ha esploso due colpi in aria. Nel mezzo un buco informativo (come insegnano negli ufficio stampa: In una situazione di crisi omettete le parti spinose), poi si parla del ragazzo deceduto. Una strategia che non ha soddisfatto il desiderio di trasparenza che il caso obbligava (perché la polizia sapeva già alle 12 - l'ora in cui è stato emesso il comunicato ufficiale - tutta la storia, visto che aveva già dalla mattina a disposizione le testimonianze dei presenti e i filmati della telecamera dell’area di servizio). E forse associando la morte di Gabriele agli 'ultrà che si pesta all'autogrill', ha innescato la violenza per le strade e negli stadi. Una conseguenza prevedibile, perché questi gruppi sono sempre pronti a sfruttare ogni occasione buona per innescare la violenza contro la polizia. Una violenza che dà anche molta visibilità. E che porta a strumentalizzare anche la morte di uno che col mondo ultrà non c'entra niente, ucciso (forse) per errore da un gesto folle di un agente di polizia. Che forse pensava di essere Bruce Willis e non un degno rappresentante della divisa che indossa.

sabato 10 novembre 2007

2010: l'anno del contratto tv



Con un fondo su "La Gazzetta dello Sport", Ruggiero Palombo ha annunciato che grazie al D.Lgs varato ieri dal Consiglio dei ministri per la ripartizione dei diritti tv, da luglio 2010 il campionato di calcio sarà per tutti i partecipanti "ad armi un po' più pari". "Se tutti- ha precisato Palombo-, legislatori, dirigenti del calcio, televisioni, avranno compiuto per intero il loro dovere, quel giorno (il 1 luglio 2010 ndr) per la serie A comincerà una nuova era. Fatta di maggiore equilibrio e della possibilità, se non di sognare scudetti, di competere ad armi un pochino meno impari. Questo è un primo importante passo nella direzione giusta". Non so ancora dire se il testo approvato produrrà sostanziali cambiamenti nel calcio, verso un maggiore equilibrio, ma posso convenire con l'autorevole editorialista della Gazzetta che questa è, o sarebbe, la strada giusta da percorrere. Perché al di là di interessi di parte, il calcio, in ogni suo aspetto, è un gioco di squadra. E un campionato non lo giocano solo Juve, Inter e Milan, ma tutte le formazioni iscritte alla serie A. E queste hanno il diritto di non essere solo sparring partner di turno contro le più blasonate avversarie, ma devono avere almeno una chance di vittoria. E la cosa può accadere solo allocando le risorse economiche, come credo tutti abbiano capito da tempo. In linea di principio il discorso fila. Ma in Italia, si sa, le cose non sono mai quelle che sembrano. Così Maurizio Galdi, sempre sulla Gazzetta, ha spiegato che nei prossimi due anni, cioé durante il c.d. periodo transitorio, "dovrà essere trovato un accordo per la spartizione dei diritti tra la serie A, la serie B e la mutualità verso i vivai". Un accordo che non sarà poi così facile da raggiungere, tanto che Mario Moroni, consigliere federale per la serie B, ha già lanciato un grido d'allarme sul futuro della B. "La serie B rischia il fallimento- ha detto Moroni a Gazzetta senza usare mezzi termini- e il governo deve prendersi la responsabilità di ciò. Vuole che scompaia il calcio nell'Italia dei cento campanili? Spero di no...". A questo punto c'è da chiedersi come il governo risolverà l'impasse. Non conosco il futuro e non ho una risposta certa. Ma scommetteri qualche euro che il governo italiano, piuttosto che filare dritto per la sua strada, seguirà la via più praticata nel Belpaese: quella del compromesso. Un sentiero dove talvolta per non scontentare qualcuno si scontentano un po' tutti.

venerdì 9 novembre 2007

Il più bel gioco del mondo

"Ora il calcio, diciamolo subito, è il più bel gioco del mondo". Gianni Brera amava definirlo semplicemente così. E a coloro che gli dicevano che stava esagerando, rispodeva: "Per il calcio ho letteralmente delirato da ragazzino e in seguito, anche da grande. Per il calcio deliro persino oggi, che ho figli ormai in condizione di trasformarmi in nonno". Una passione profonda, la stessa che milioni di persone hanno provato e continuano a provare. Questo blog è dedicato a loro. Uno spazio per condivedere e approfondire insieme le storie, le news e i tanti temi che circodano il "mondo del pallone". Senza considerarlo un aspetto minore e un po' superficiale della nostra società. Perché il calcio è, con pieno diritto, parte della storia del nostro paese. I suoi vizi e le sue virtù sono le stesse di noi italiani. Del nostro modo d'essere, della nostra civiltà.