mercoledì 24 settembre 2008

Un appello per "AmmazzateciTutti"

di Alessio Di Florio (PeaceLink)

Sono considerati folli, ma sono loro che cambiano il mondo. E' un verso di una poesia di Albert Einstein. E, come non considerare quella dei ragazzi di Locri, una follia. Vincere la cultura di morte, l'omertà, la corruzione tentacolare della 'ndrangheta con la forza della passione, della gioventù, dell'onesta di un gruppo di ragazze e ragazzi puliti e onesti. Hanno resistito a tutto in questi anni, alle minacce, ai tentativi arroganti della politica di cooptarli e di normalizzarli(ne abbiamo già parlato qualche dicembre fa). Ma loro, per riprendere uno slogan anarchico tanto bello quanto ribelle, "non saranno mai come vorranno loro". Un sogno che cammina sulle gambe di molti è una realtà che comincia. Una realtà dura, difficile. E le gambe, passo dopo passo, possono diventare deboli e stanche.

I ragazzi di Locri, il Movimento AmmazzateciTutti, è in difficoltà. La sfida all'impossibile che può essere possibile rischia di finire. Il 17 settembre in una lettera aperta pubblicata sul loro sito i
ragazzi sono stati chiari: "rischia di chiudere entro un mese".

"...abbiamo fatto la scelta di essere come gli straccioni di Valmy, abbiamo scelto di combattere contro mostri pieni di soldi e di potere, anche indicandoli con nome e cognome, a nostro rischio e
pericolo". Poche righe per ripercorrere anni di lotta e passione, speranza e libertà. Sulle pagine del loro sito così come nelle piazze e nelle strade della Locride i ragazzi hanno inchiodato istituzioni, affaristi, mafiosi ai loro crimini e al marciume del loro operato. Per essere liberi hanno scelto di non avere padroni o mecenati. E ora, dopo una serie di attacchi informatici che mettono a rischio anche il server che li ospita, i conti sono terribilmente in rosso. Se entro il 16 ottobre, terzo anniversario dell'assassinio di Fortugno, il Movimento non riuscirà a trovare 30000 euro saranno "costretti a staccarci la spina da soli, archiviando prematuramente questa bellissima esperienza. Con la morte nel cuore".

Sarebbe la fine di una grande speranza per la Calabria, questa terra "meravigliosa e disgraziata" (per riprendere le loro stesse parole). Una speranza che in questi anni è stata soffocata, giorno
dopo giorno, dagli attacchi e dall'indifferenza criminali. Tanti, troppi hanno voluto accreditarsi come amici della Locride, per poi abbandonarla a riflettori spenti. Tanti hanno speculato sulla vicenda Fortugno e sulla mobilitazione spontanea e trasparente dei ragazzi e delle ragazze di Locri. Verrebbe voglia, con rabbia, indignazione, frustrazione, andare sotto le finestre di qualcuno per gridargli in faccia, per metterlo davanti alle proprie responsabilità. A partire da quei politici locali, con il tacito assenso dei loro capomandamenti nazionali, che hanno tentato di strumentalizzare e attaccato Aldo Pecora e tutto il Movimento.

Ma non c'è tempo. E quello che abbiamo non possiamo perderlo dietro a chi non merita neanche disprezzo. Il 2008 è un anno triste per l'impegno civile e sociale dell'Italia che r-esiste alle mafie
e ai potentati. E' iniziato con il soffocamento di Casablanca, la rivista catanese fondata da Riccardo Orioles e uccisa dai debiti. Non permettiamo che si chiuda con la fine di AmmazzateciTutti. Chiunque può aiuti la Calabria, si schieri con la Locride. La solidarietà delle persone libere e oneste dimostri ad Aldo che "è ancora possibile organizzare la speranza", che non hanno fallito. Con loro falliremmo tutti noi.

Sul loro sito, in fondo alla lettera aperta a "chi ci vuole bene", sono indicate le coordinate bancarie e postali per effettuare una donazione libera a sostegno di AmmazzateciTutti.

http://www.ammazzatecitutti.org/editoriale/ammazzatecitutti-rischia-di-chiudere-entro-un-mese.php

giovedì 11 settembre 2008

Matthias Sindelar. La favola triste del "Mozart del calcio"

di Marco Della Croce



È il 3 aprile 1938. A Vienna si festeggia l’Anschluss, l’annessione del Paese alla Germania di Adolf Hitler. A suggellare la giornata di festa una partita di calcio. Al Prater va in scena per l’ultima volta la Nazionale austriaca a cui è stato concesso l’onore di salutare il suo pubblico prima del suo scioglimento. Una partita che vedrà Matthias Sindelar, la stella del Wunderteam, battere quasi da solo la Nazionale tedesca e sfidare, con il suo rifiuto finale di fare il saluto nazista, il regime hitleriano. Quel gesto, più dei suoi gol, lo rese immortale.


Piangevano i 40.000 viennesi che accompagnavano silenziosamente il feretro. E piangeva anche chi, dalle finestre e dai balconi, seguiva il corteo funebre che scorreva lento verso il cimitero. Quel freddo giorno di gennaio del 1939 tutta la città si strinse commossa attorno a quella bara. Un funerale maestoso, partecipato, sentito. Degno di un re o di un eroe.
Matthias Sindelar non era né uno né l’altro. O forse sì. Forse eroe, per i viennesi, alla fine lo era diventato davvero. E non solo perché era stato per anni la bandiera dell’FK Austria Vienna e della Nazionale austriaca. Il fatto è che Matthias Sindelar qualche mese prima della sua tragica morte era stato il protagonista assoluto in un’incredibile partita contro la Germania.
È il 3 aprile 1938. A Vienna si festeggia l’Anschluss, l’annessione del Paese alla Germania di Adolf Hitler, avvenuta tre settimane prima, il 12 marzo. Ovunque svastiche, striscioni e festoni, mentre nei quartieri risuona l’eco sinistro del passo dell’oca delle Camicie Brune. Un clima solo in apparenza festoso, in realtà imposto a colpi di ordinanze dalle autorità naziste per salutare la trasformazione di uno stato sovrano in un’anonima provincia.
A suggellare la giornata non manca la partita di calcio. Sugli spalti del Prater ci sono 60.000 spettatori, tra braccia tese e bandiere naziste. In campo va in scena per l’ultima volta la Nazionale austriaca a cui è stato concesso l’"onore" di salutare il suo pubblico prima del suo scioglimento. Alla fine di quei novanta minuti, infatti, i suoi migliori calciatori, diventati tedeschi da un giorno all’altro, verranno assorbiti nel team di Berlino, promosso, con questi nuovi talenti, al ruolo di favorito negli imminenti Campionati del mondo in Francia.
Al timone della formazione bianco-nera c’è Sepp Herberger, che nel 1954, in Svizzera, guiderà i suoi uomini alla vittoria della Coppa Rimet. Di fronte, undici ragazzi che hanno dato vita al formidabile Wunderteam (così era chiamata la Nazionale austriaca di quel periodo), praticando per un decennio un gioco veloce e spettacolare come mai si era visto fino ad allora. Orfani del mitico CT Hugo Meisl, morto da poco, gli austriaci quel giorno scendono in campo sotto la guida del trentacinquenne Matthias Sindelar.
Non può esserci scelta migliore: Sindelar, infatti, è il capitano e la stella della squadra. Sottile, quasi trasparente, tanto da essere soprannominato Der Papierene, Cartavelina. “Era il padrone della palla, l’artista della finta”, disse di lui, anni dopo, Vittorio Pozzo, il grande ct azzurro. “Alla mancanza di fisico sopperiva con l’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea”. In altre parole, un autentico fuoriclasse.
Del resto Matthias, nato nel 1903 in una famiglia ebrea, già da ragazzo mostra di avere talento. Orfano di padre, passa l’adolescenza ad aiutare la madre e le sorelle nella loro lavanderia, ma nei suoi pensieri c’è solo la palla di stracci che lo aspetta fuori dal negozio. Con quella palla, d’altra parte, il ragazzo ci sa fare davvero. Nelle partite in strada dribbla, passa, stoppa con una bravura che attira l’attenzione dei dirigenti dell’Hertha, un club professionistico, che nel 1918 lo reclutano nella propria formazione giovanile.
Ci vuole poco a capire che il ragazzino è un piccolo fenomeno, tanto che nel 1922 lo fanno debuttare in prima squadra. I suoi numeri colpiscono tutti, finché nel 1924 il presidente del Wiener Amateur, in seguito ribattezzato FK Austria Vienna, si decide ad acquistarlo. Mai scelta fu più azzeccata: in poco tempo Cartavelina, grazie anche alla sua simpatia e alla sua modestia, diventa la bandiera dei viola (con cui giocherà fino all’ultimo) e il beniamino dei tifosi. Grazie ai suoi gol l’FK vince un titolo, sei coppe nazionali e due Mitropa Cup. In Nazionale conquista invece una Coppa Internazionale e un argento olimpico nel 1936. La fama del Mozart del calcio, come lo chiama il suo ct Hugo Meisl, lo porta a diventare un ottimo testimonial pubblicitario.
Questo è l’uomo che guida il Wunderteam nella partita dell’addio. E la guida sul serio, caricando i compagni e imponendo loro di giocare ancora una volta con la tradizionale casacca bianco-rossa. E la guida sul campo, con gli avversari che si affannano dietro le sue giocate. Un primo tempo equilibrato, poi i padroni di casa – per modo di dire – aumentano il ritmo finché, al 62', proprio Sindelar supera il portiere ospite con un destro preciso. Lo stadio è una bolgia, tutti capiscono che il significato di quella partita va ben oltre il fatto sportivo. Al 71', poi, il terzino Karl Sesta, da 40 metri, effettua verso la porta avversaria un lancio apparentemente innocuo. Il tiro, però, come spinto da una forza invisibile, s’insacca incredibilmente per la seconda volta: 2-0.
È fatta! L’incontro finisce senza che il risultato cambi ancora. Nel suo canto del cigno il Wunderteam ha dimostrato che almeno la dignità non può essere annessa. Poi la scena che non ti aspetti: il protocollo prevede che le due squadre, prima di uscire, salutino con il braccio teso le autorità in tribuna. Lo fanno tutti, tranne Karl Sesta e Matthias Sindelar. Loro non salutano, ma restano sull’attenti, le braccia allungate sui fianchi, davanti ai gerarchi irritati.
A Matthias non piace l’Anschluss, né il nazismo e tantomeno Hitler, ecco perché non tende il braccio. Alla successiva richiesta del ct tedesco di giocare nella sua Nazionale oppone poi un secco rifiuto. Un gesto e un no che gli costeranno molto cari. Intorno a lui - ebreo - tutto precipita. La scure delle leggi razziali non ha ancora colpito i calciatori ma ha già iniziato ad abbattersi sui dirigenti. Il presidente dell’FK, Michl Schwarz, è uno di questi. Allontanato dalla sua carica, vive emarginato e ignorato da tutti, ma non da Sindi che continua a salutare ad alta voce il suo vecchio presidente. Il bomber gioca ancora qualche partita (l’ultima contro l’Hertha), ma solo perché la Gestapo, che lo pedina giorno e notte, glielo permette a causa della sua popolarità.
Poi finisce tutto. Il 23 gennaio 1939 Sindelar viene trovato morto accanto a Camilla Castagnola, una giovane amica ebrea conosciuta da poco. C’è chi dice a causa dell’ossido di carbonio sprigionato da una stufa difettosa, chi sostiene che si tratti di suicido per depressione, chi di omicidio politico. Non si saprà mai, anche perché la Gestapo farà sparire i rapporti del caso.
Il giorno dei funerali Vienna aveva più di un motivo per piangere. Con Matthias Sindelar scompariva infatti anche una nazione intera, inglobata dall’espansionismo nazista. Ciò che non poté essere sepolto fu però il ricordo del Mozart del calcio, ancora ben vivo in Austria a distanza di decenni.
Ci piace pensare che, mentre la città ferita applaudiva per l’ultima volta il suo indimenticabile campione, qualcuno abbia trovato in quel saluto rifiutato un motivo in più per resistere a tempi che si preannunciavano durissimi.
(Foto: Aon.at)

giovedì 4 settembre 2008

Scaricabarile. Ovvero, la "nuova" strategia della forze dell'ordine per risolvere la questione ultras

Non amo criticare le forze dell'ordine, che svolgono un mestiere duro e senza risorse adeguate. Ma nel diverbio tutto istituzionale tra il capo della Polizia Manganelli e il ministro della Difesa La Russa, parteggio per quest'ultimo (almeno fino a quando il ministro non ha fatto dietro front, rimangiandosi tutto).
Ricostruiamo la discussione. Tutti i tg ieri e molti quotidiani nazionali stamattina hanno dato rilevanza alle dichiarazioni di Manganelli, il quale ha sostenuto che "dietro la conduzione degli incidenti provocati dai tifosi napoletani c'è l'influenza della criminalità organizzata". Dunque, della camorra. Oggi, La Russa, replicando a Manganelli, ha affermato che parlare di camorra è solo un fatto strumentale. "Il problema- ha detto il ministro- è che c'è stata troppa tolleranza. Ma non bisogna generalizzare. La maggioranza delle curve è composta da ragazzi magari un po' agitati, ma recuperabili. Con gli irrecuperabili non c'è dubbio che bisogna usare tolleranza zero. Ma questo non c'entra niente con il calcio. Bisogna ribadire che i tifosi non hanno la licenza di devastare".
Dunque, secondo Manganelli la camorra si sarebbe infiltrata nei gruppi ultrà e li avrebbe spinti ad andare a Roma armati di tutto punto per devastare e creare confusione, proprio come accadeva a Pianura nel gennaio scorso, quando gruppi di ultras assoldati (per 150 euro al giorno) dalla camorra incendiavano o cmq disturbavano l'apertura delle nuove discariche.
Stavolta però la disamina del capo della Polizia non convince. Del resto, che interesse avrebbe la camorra a far devastare la stazione Termini o i treni della FS? A Pianura la camorra aveva tutto l'interesse a disturbare i lavori per l'apertura della nuova discarica, mentre ora non si riesce proprio a 'vedere', nemmeno fantasticando, quali vantaggi avrebbe ricevuto.
Ha fatto bene allora il ministro La Russa a mettere le mani avanti e a chiedere che la Polizia si prenda le sue responsabilità. Che sono lampanti e sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono 'vedere' sotto la superficie delle cose. E poi basta con questa strategia dello "scaricabarile", dove le colpe sono di tutti, quindi di nessuno.
(Foto: Baldur Pan)

Poscritto.
Che poi le dichiarazioni di Manganelli fossero una fanfaluca, ne abbiamo la certezza dopo quel che ha detto il vice capo della Polizia, Nicola Cavaliere. Secondo il quale non c'è stata alcuna strategia dei clan della camorra dietro gli incidenti dei tifosi del Napoli, "l'unica cosa che è emersa dalle indagini è solo la presenza di molte persone tra gli utras di pregiudicati con precedenti importanti". E poi ha chiosato: "Nessuno ha detto che la camorra ha ordinato l'assalto".

mercoledì 3 settembre 2008

Jorvan Vieira resta alla guida della Nazionale irachena


Un anno fa Jorvan Vieira aveva annunciato di voler lasciare la Nazionale irachena, nonostante la recente vittoria della Coppa d'Asia. Troppi i problemi che aveva dovuto affrontare nei 2 mesi da ct della squadra più sgangherata del mondo. "Non avete idea di quello che abbiamo passato in questi 60 giorni- aveva detto- Se continuassi finirei in manicomio". Ma un anno lontano dal calcio e un bel gruzzoletto di dollari gli hanno fatto cambiare decisamente idea. Come ha reso noto Abdel Halak Massoud, responsabile finanziario della federazione irachena, il tecnico brasiliano convertito all'islam guadagnerà poco più di 400mila euro. Una cifra di tutto rispetto e forse 'dovuta' ad un uomo che, come scrissi un anno fa, "è riuscito dove la politica aveva fallito: mettere assieme sciiti e sunniti, arabi e curdi, farli diventare una squadra, anzi di più: una Nazione".
(Foto: a-alnasseri)

martedì 2 settembre 2008

Nuovi orizzonti: calcio e mafia (stavolta asiatica) un giro da 450 mln di dollari

Potresti non credere a quello che stai leggendo, ma a quanto sembra è tutto vero. Mi riferisco all'articolo apparso sul corrieredellasera.it di Gianni Santucci: "Calcio, assalto della mafia asiatica". Nuovi casi di corruzione in Belgio e Germania, partite truccate al Mondiale 2006, tra cui le gare dell'Italia contro Ucraina e Ghana. Un interessante pezzo da leggere tutto d'un fiato (per farlo cliccate qui) su fatti che il gran capo della Fifa, Joseph Blatter, presente in Italia per la cerimonia di consegna del logo o scudetto mondiale (dopo che la Coppa del Mondo aveva preferito non consegnarcela), s'è già premurato di smentire. "Ho incontrato Declan Hill (lo scrittore canadese, che col suo libro "calcio mafia" ha denunciato la combine di alcune partite dell'ultimo Mondiale)- ha detto Blatter- ho avuto una chiacchierata con lui, si è affrettato a dire che le cose sarebbero potute andare in quel modo, mentre "Der Spiegel" l'ha riportato come un fatto accaduto in quella maniera. La fase finale dei Mondiali di calcio è la manifestazione più importante del mondo, anche più delle Olimpiadi, queste cose non possono succedere. Comunque sulle scommesse illegali tocca alla giustizia ordinaria fare il suo corso, come è accaduto ultimamente in Germania".
Forse Blatter ha ragione, quelle di Hill sono solo ipotesi. O forse si tratta di un'abile strategia di marketing per vendere più copie. Quello che forse Blatter però non sa è che match truccati ce ne sono stati anche ai Mondiali di calcio: chiedetelo a Oliviero Beha se Camerun-Italia dell'82 era una partita regolare o no (per saperne di più, clicca qui).

Disordini Roma-Napoli / Non è il calcio che non funziona ma l'Italia e le sue istituzioni


Due Ossevatori non sono bastati a prevedere i disordini provocati dai tifosi del Napoli in trasferta a Roma, in treno e alla stazione Termini. Il Questore di Napoli prima della partenza non ha visto gli animals muniti di "lame", bombe carta e bastoni salire sul treno. I dirigenti delle FS non hanno attrezzato treni speciali, ma hanno lasciato i loro clienti in balia di 2.000 scalmanati. I giudici, poi, non sono riusciti a trattenere i cinque sostenitori di Napoli e Roma fermati in questura, ma li hanno liberati dopo 48 ore.
Fatti di cronaca, in un'altra domenica di ordinaria follia, come ce ne sono troppe da diversi anni a questa parte. Fatti, che a differenza di quel che ha detto qualcuno, ancora indignano e stupiscono. Già, perché dopo tanti proclami e l'impegno che cose del genere non accadano più, invece, quelle cose continuano ad accadere. Forse la colpa è nella società violenta, come in molti dicono, la quale a sua volta genera altra violenza. O forse si è data troppa fiducia a gruppetti di ultrà che, come ha detto qualcun altro, non la meritavano. Ma di chiunque sia la colpa, resta il fatto che per le istituzioni democratiche, dagli osservatori del Viminale all'ordinamento giuridico, dalle FS alle Forze di Polizia, questa domenica ha segnato la loro disfatta.
Dopo Raciti e Sandri si pensava che le cose, con un po' di buona volontà, sarebbero tornate a posto. Così non è stato e questo ci lascia con un senso d'impotenza e l'amaro in bocca. Non è il calcio che non funziona ma l'Italia, le cui istituzioni non reggono nemmeno all'urto di 2.000 e più cazzoni col viso coperto. E resta la sensazione che se tutti avessero svolto il loro lavoro con la meticolosità che il caso richiedeva, non si sarebbe giunti fino a questo punto. E cioè: se i due Osservatori avessero osservato; se il questore e il prefetto avessero perquisito e non fatto partire i più facinorosi , almeno quelli in possesso di armi; se la dirigenza FS avesse dialogato con i capi ultrà (come qualcuno di loro ha sostenuto di aver richiesto senza ottenere risposta) adottando misure adeguate alla situazione; se la Magistratura non fosse vincolata da una legislazione che permette ancora al reo di farla franca (quest'ultima è ovviamente una semplificazione di un problema molto più aggrovigliato). Beh, se tutto fosse andato così ora non staremmo qui a menarcela con la questione ultrà. E forse non saremmo nemmeno in Italia, ma in un Paese normale.
(Foto: Crimistar)