giovedì 18 dicembre 2008

Dribbling tra i coralli


Cari lettori,
postiamo qui un pezzo scritto da Paolo Marcor e già apparso sul sito Storie di Calcio. Più che un sito, Storie di Calcio è un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti dell'italica pelota e non solo, come dimostra l'articolo di seguito. Infine, desidero ringraziare Paolo per la gentile concessione, augurando a lui e alla sua famiglia di passare un felice Natale.

DRIBBLING TRA I CORALLI

Nel Mar dei Caraibi c'è una piccolissima Federazione calcistica sconosciuta dove lavora un italiano: Alessio Girotti. Un racconto per capire cosa significa giocare a calcio ai bordi del Paradiso.

Si racconta che un giorno, un pallone colpito troppo forte e spinto dal vento finì in acqua, lontano dalla riva. La corrente completò l'opera, portandolo al largo. E i giocatori con lo sguardo perso nel blu a un certo punto videro quel pallone salire e scendere, salire e scendere, sulla linea dell' orizzonte. La partita, sospesa per mancanza di materia prima, l'avevano continuata delfini e balene...

Sarà anche una leggenda isolana, buona per un racconto alla Soriano, ma rende esattamente l'idea. Da quelle parti, il calcio è cosa fresca.
Non è passato molto tempo da quando il campo faceva rima solo con spiaggia e ai piedi solitamente nudi sono spuntate, non sempre, scarpe con tacchetti.
Turks & Caicos, colonia britannica con autonomia interna: 40 isolotti spuntati a cerchio nel mar dei Caraibi con un certo ordine, che guardano le Bahamas a nord, Cuba a ovest, Haiti a sud e tanta acqua a est. Il posto giusto per chi ama dribblare tra pesci e coralli.
Providenciales e Grand Turk, le località principali, si dividono il soprannome di «Mecca dei subacquei».
I 20mila residenti sparsi tra gli atolli abitati vivono, of course, di pesca e turismo. E giocano a pallone con le balene. Grazie, anche e soprattutto, a un italiano. Alessio Girotti, 52 anni, padre famoso, un passato da sportivo, parecchie esperienze alle spalle e un presente-futuro da pioniere del calcio, ha il sorriso nella voce quando ci descrive il suo paradiso.
Dice: «Qui l'unica cosa che c'è è il mare: ma è favoloso. Esco da casa e sono in spiaggia. E se faccio cento metri a nuoto, posso vedere le balene. Questo è il periodo giusto».
Un posto che piacerebbe molto al provetto sub Fabio Capello, uno dei suoi modelli. Ma Girotti, piuttosto che inseguire soldi e chimere, ha preferito insegnare calcio in un paradiso.
«Non diventerò milionario, ma dello stipendio sono molto contento. Da queste parti, mi permette di vivere molto bene. Bisogna tenere conto che anche i giocatori della nazionale prendono solo la diaria. E comunque non sono certo i soldi il motivo per cui sono qui».

Finalmente uno che può parlare di scelta di vita, senza rischiare che gli si rida in faccia. Nel calcio delle Turks, lui ricopre parecchie cariche: oltre a girare per le isole a scovare e crescere talenti, a tenere i rapporti tra il calcio e il Governo, è responsabile delle squadre della capitale della regione, tecnico della nazionale di Futsal (il calcetto con regole Fifa) e manager tecnico e organizzativo di tutte le nazionali: maschile, femminile e giovanile. Spiega: «Nello stile del football inglese, sono il braccio destro del direttore tecnico».
Stranamente, i britannici qui non hanno insistito molto col calcio. «Da poco i giovani si stanno avvicinando seriamente al pallone. Io e altre 4-5 persone ci occupiamo dello sviluppo di questo sport. Soltanto dal '98 è iscritta nella Concacaf anche la federazione delle Turks & Caicos. Io sono arrivato l'anno dopo».

Facendo un lungo giro. Girotti è figlio di Massimo, prima campione di nuoto e poi uno dei bravi attori del cinema italiano. Scomparso un anno fa, quando erano appena terminate le riprese di «La finestra di fronte» di Ozpetek, con cui ha vinto il David di Donatello postumo, aveva lavorato in 118 film e coi più grandi registi del dopoguerra: Visconti («Ossessione» e «Senso»), Antonioni («Cronaca di un amore»), Germi («In nome della legge»), Rossellini e De Sica.
Alessio è cresciuto nel suo mondo, che contemplava anche lo sport, ma non il calcio: «Studiavo e giocavo a rugby, terza linea con il Rugby Roma, l'Olimpic e infine l'Algida. A 28 anni mi sono trasferito a Los Angeles: scrivevo sceneggiature. E' stato lì che ho scoperto il pallone, attraverso amici italiani. Ho giocato, a centrocampo, fino a quasi 40 anni nella lega municipale, una sorta di seconda divisione: c'erano squadre formate da messicani, argentini, uruguaiani e inglesi. Coi piedi non ero un fenomeno, ma avevo già la vocazione dell'allenatore in campo. Una volta smesso, il passaggio in panchina è stato naturale. Poi mi sono trasferito a Key West, per la mia passione per il mare, e mi sono messo a insegnare calcio ai ragazzini. Mi sono appassionato, e ho cominciato a prendere la licenza. Intanto, giravo i Caraibi facendo sub e cercando un pezzo di terra e una casa dove stabilirmi definitivamente. L'ho trovato qui».

Dice: «Qui l'unica cosa che c'è è il mare: ma è favoloso. Esco da casa e sono in spiaggia. E se faccio cento metri a nuoto, posso vedere le balene. Questo è il periodo giusto».
Un posto che piacerebbe molto al provetto sub Fabio Capello, uno dei suoi modelli. Ma Girotti, piuttosto che inseguire soldi e chimere, ha preferito insegnare calcio in un paradiso.
«Non diventerò milionario, ma dello stipendio sono molto contento. Da queste parti, mi permette di vivere molto bene. Bisogna tenere conto che anche i giocatori della nazionale prendono solo la diaria. E comunque non sono certo i soldi il motivo per cui sono qui».

Finalmente uno che può parlare di scelta di vita, senza rischiare che gli si rida in faccia. Nel calcio delle Turks, lui ricopre parecchie cariche: oltre a girare per le isole a scovare e crescere talenti, a tenere i rapporti tra il calcio e il Governo, è responsabile delle squadre della capitale della regione, tecnico della nazionale di Futsal (il calcetto con regole Fifa) e manager tecnico e organizzativo di tutte le nazionali: maschile, femminile e giovanile. Spiega: «Nello stile del football inglese, sono il braccio destro del direttore tecnico».
Stranamente, i britannici qui non hanno insistito molto col calcio. «Da poco i giovani si stanno avvicinando seriamente al pallone. Io e altre 4-5 persone ci occupiamo dello sviluppo di questo sport. Soltanto dal '98 è iscritta nella Concacaf anche la federazione delle Turks & Caicos. Io sono arrivato l'anno dopo».

Facendo un lungo giro. Girotti è figlio di Massimo, prima campione di nuoto e poi uno dei bravi attori del cinema italiano. Scomparso un anno fa, quando erano appena terminate le riprese di «La finestra di fronte» di Ozpetek, con cui ha vinto il David di Donatello postumo, aveva lavorato in 118 film e coi più grandi registi del dopoguerra: Visconti («Ossessione» e «Senso»), Antonioni («Cronaca di un amore»), Germi («In nome della legge»), Rossellini e De Sica.
Alessio è cresciuto nel suo mondo, che contemplava anche lo sport, ma non il calcio: «Studiavo e giocavo a rugby, terza linea con il Rugby Roma, l'Olimpic e infine l'Algida. A 28 anni mi sono trasferito a Los Angeles: scrivevo sceneggiature. E' stato lì che ho scoperto il pallone, attraverso amici italiani. Ho giocato, a centrocampo, fino a quasi 40 anni nella lega municipale, una sorta di seconda divisione: c'erano squadre formate da messicani, argentini, uruguaiani e inglesi. Coi piedi non ero un fenomeno, ma avevo già la vocazione dell'allenatore in campo. Una volta smesso, il passaggio in panchina è stato naturale. Poi mi sono trasferito a Key West, per la mia passione per il mare, e mi sono messo a insegnare calcio ai ragazzini. Mi sono appassionato, e ho cominciato a prendere la licenza. Intanto, giravo i Caraibi facendo sub e cercando un pezzo di terra e una casa dove stabilirmi definitivamente. L'ho trovato qui».

Fondali da paura e calcio da plasmare: il massimo per lui. «Nel '99, ero l'unico ad avere il patentino di allenatore professionista. Sono stato subito coinvolto nel progetto. Mi sento un pioniere. L'entusiasmo è pari alle difficoltà. Per dire, a volte giochiamo senza scarpini perché non ce ne sono abbastanza, con la sterpaglia sparsa per i campi secchi. E i genitori non ci aiutano: seguono poco i ragazzi, e non li incoraggiano a fare sport. Anche selezionare i giocatori diventa un problema: non c'è un vero e proprio campionato, si sfidano le squadre della stessa isola. Per ogni spostamento è necessario un piccolo aereo, e il costo è di 100 dollari a persona. Dunque bisogna organizzare tornei che durino un po' per evitare continui viaggi. Anche per la Nazionale. Eppoi sono davvero pochi i campi in erba, perché hanno bisogno di tanta acqua, visto che qui il clima è arido. Grazie ai fondi elargiti della Fifa, senza i quali saremmo spacciati, a Providenciales l'anno scorso è stato costruito un grande centro sportivo. E' costato quasi un milione di dollari. Ora stiamo allestendo un campo di allenamento: lo lasceremo a sabbia, sennò spendiamo troppo».
Problemi economici, di crescita e, soprattutto, di competitività. Nel giro caraibico le donne vanno abbastanza bene, la squadra di calcetto, forse perché ha bisogno di meno giocatori e perché è guidata in toto da Girotti, meglio ancora. E' la Nazionale maschile che è indietro. Parecchio.
Spiega il tecnico di casa nostra: «Qui i giocatori sono della Giamaica, Trinidad, Guyana e isole come Santa Lucia e Sant Vincent. Gli indigeni tra i 20 e i 30 anni che giocano sono pochi, per questo ci sforziamo di far «crescere» i bambini dagli 8 ai 14 anni. La Fifa lo sa, siamo all' inizio di una fase di sviluppo, e ci vorrà almeno una decina d'anni per diventare competitivi. Stiamo chiedendo di poter utilizzare i residenti come una sorta di oriundi: con loro potremmo far parlare di noi nei Caraibi con qualche anno di anticipo. Per i primi tempi volevamo dedicarci alle donne e al calcetto, senza impegnarci nelle qualificazioni mondiali, ma non è stato possibile. Nel 2000 abbiamo incontrato San Kitts & Newitt e abbiamo perso l'andata 6-0 e la seconda sfida 8-0. D'altronde il massimo della partita qui, un vero evento, non si parla d' altro per giorni, è quando la nazionale sfida la selezione di marinai delle navi inglesi che transitano da Turks, come è successo il mese scorso. Facciamo fatica a vincere».

Haiti nel '74 si qualificò ai Mondiali di Germania grazie a un altro italiano, il primo a tentare l'avventura della panchina esotica: Ettore Trevisan. Girotti non aspira a tanto, ma a qualcos' altro: «Non escludo un giorno di tornare in Italia e magari allenare una squadra di serie C. Se comincio a vincere nelle qualificazioni caraibiche, chissà... magari potrò aspirare a qualcosa di più. Ma sarebbe un'altra avventura, non un ritorno definitivo. Io questo posto me lo tengo». Giocando con vista sulle balene. Vuoi mettere?
(Fonte: Adattamento testo di Fabio Bianchi (Gazzetta dello Sport, dicembre 2003)

venerdì 12 dicembre 2008

Derby e curve chiuse

Estraggo questo interessante commento di Fulvio Bianchi dal suo blog che affronta il tema della chiusura delle curve (noi de Laleggendadelcalcio siamo da sempre convinti dell'insensatezza di tale provvedimento)in una chiave nuova e suggestiva, partendo dal calcio cosiddetto minore.

Calcio, violenza e quei derby scomparsi
di Fulvio Bianchi

Escluso serie A e B (ma non sempre), ecco che i derby stanno scomparendo. Una volta erano la forza del nostro calcio. Il calcio dei campanili, delle stracittadine. Adesso è sempre più sovente la chiusura delle curve ospiti anche sui campi minori, della Prima Divisione e dei dilettanti. Lo decidono Osservatorio-Casms su suggerimento di prefetti e questori. E' un modo a volte, troppe volte, sbrigativo: siccome non riescono a garantire la sicurezza degli spettatori, ecco che il sistema migliore è vietare. Chiudere. Facile così, no? Ecco le prossime limitazioni: niente tifosi della Salernitana ad Avellino, niente tarantini a Potenza. Chiuse le curve ospiti anche per Maglianico-L'Aquila, Nissa-Siracusa, Akragas-Licata, Grottaglie-Bitonto, Ippogrifo Sarno-Battipagliese. I club hanno grossi danni. Che ne dicono i presidenti delle Leghe, Macalli e Tavecchio? Matarrese ha già fatto sentire la sua voce, e con lui Galliani: Maroni ha risposto subito, "indietro non si torna". Ma forse tutta la materia andrebbe ridiscussa con serenità a fine stagione.

giovedì 11 dicembre 2008

Calcio e Gomorra

(da OltreGomorra)

Da tempo la criminalità organizzata cerca di infiltrarsi nel mondo del calcio. Non si tratta solo di folklore da stadio, come possono sembrare gli striscioni inneggianti ai boss o le curve in mano alle famiglie mafiose (come avviene a Catania) o gli scontri provocati dagli ultras napoletani delle Teste Matte e dei Niss, infiltrati dalla camorra. C'è ben altro. Ci sono gli affari. Mafia, camorra e ‘ndrangheta vogliono controllare il mondo del calcio che avrebbe "un ritorno di immagine incredibile e fatto a livello nazionale porta posti di lavoro e guadagni insperati", come si può leggere nella corrispondenza avvenuta tra due mafiosi calabresi sequestrata a Castrovillari. Recente è la vicenda giudiziaria che ha fatto emergere il tentativo del clan dei Casalesi che (con la complicità, secondo l'accusa, di Giorgio Chinaglia) tentava di rilevare la Lazio per 24 milioni di euro.
Da Napoli a Palermo, la mafia cerca di entrare nell'ambiente calcistico in tutti i modi possibili: gestendo il giro delle scommesse; tentando di condizionare i risultati delle partite; ottenendo gli appalti per gli impianti e i servizi allo stadio; rafforzando i rapporti con i politici.

mercoledì 10 dicembre 2008

Menez, sogno o son desto?


(da lungotevere.net)

Roma - Quando al 35' del secondo tempo di Roma-Bordeaux Spalletti sostituisce Menez, il pubblico dell'Olimpico dedica un'emozionante standing ovation al francesino, il quale a sua volta ringrazia, quasi commosso. E' il segnale giusto: la Roma si è buttata alle spalle il periodo nero, dopo sei vittorie di fila, che avrebbero potuto essere otto se a Bologna Cicinho, poveraccio, non avesse realizzato un bel gol, ma nella porta sbagliata; e dopo il primato nel girone di Champions, cosa mai accaduta finora. Ecco, dopo tutto questo ti accorgi che il vento è cambiato solo quando a uno come Menez riescono cose che non avresti immaginato fossero comprese nel repertorio. Come l'esterno destro che domenica scorsa aveva steso il Chievo. Ma quello poteva essere anche un colpo fortunato, un biglietto vincente della lotteria. Cose che capitano una volta nella vita. Ma ora?
Gran parte dei tifosi giallorossi erano pronti a buttare al macello questo 'brocco', che si 'mangia' gol a ripetizione. A rispedirlo al mittente, Oltralpe, sperando almeno di recuperare una parte dei 10,5 mln spesi per acquisire l'oneroso cartellino. Così la Sensi, dicevano, reinveste il gruzzoletto su qualcun altro, uno più forte anche se attempato, come Crespo o magari Cruz. Ma come nelle favole che ci raccontavano da bambini, ecco che Menez in tre giorni prende a sfornare colpi da maestro, dibbling che ubriacano gli avversari, assist che ti consegnano il pallone davati alla porta, che devi solo sbatterci addosso per segnare. E poi il gol magnifico contro il Chievo. E il brocco non è più brocco. Ma un pezzo pregiato. "Per tecnica e velocità mi ricorda Kakà", ha detto ieri Spalletti. E Philippe Mexes: "Menez? E' talento puro". Un campione di razza, allora. Ché pure il tecnico della Francia Domenech è venuto a goderselo, di persona. Il bizzarro Domenech, quello che odiava Giuly perché sembrava gli avesse fregato la moglie e che non convocava mai Mexes non si sa il perché. Chissà se davvero è sceso in Italia per osservare Menez. Probabilmente il tecnico dei Bleu è venuto più per guardare i girondini, impegnati nella loro gara d'aurevoir alla Champions, che per ammirare il ventunenne nato a Longjumeau, località sconosciuta ai più, vicino alla Normandia. Ma una volta qui il tecnico non può non aver visto quel numero 24 che s'invola sulla sinistra, scarta gli avversari neanche fossero birilli e sforna assist uno dietro l'altro. Anche se non avesse visto, comunque, deve aver sentito quei 40mila che facevano clap clap. Per forza. Oppure è anche sordo monsieur Domenech?

Italo Mastrangeli

lunedì 8 dicembre 2008

Sky: partita con Mediaset si gioca su diritti calcio

Da "borsaitaliana":

"Sta per arrivare il vero scontro tra Sky e Mediaset e l'aumento dell'Iva dal 10 al 20% è solo l'inizio. E' quanto scrive oggi il Corriere Economia spiegando che in palio ci sarebbero tra i due gruppi i diritti tv per le partite di calcio del campionato di serie A 2010-2011.
Sky Italia è in utile da due anni: nel 2007 i ricavi consolidati sono stati di 2,5 mld e 4,7 mln di abbonati. Mediaset ha ricavi consolidati nel 2007 di 4,1 mld ma in Italia ne incassa solo 3. Gli abbonati sono per la pay-per-view, 1,5 mln. Per questo tutto si giocherà sull'assegnazione dei diritti sul calcio che sono diventati collettivi per la Legge Melandri. La Lega ha dato a Infront la gestione dell'asta che dovrà raccogliere almeno 900 mln di euro e dovrebbe avvenire per pacchetti. La pressione dei club perché si torni alla contrattazione individuale è molto forte e non è escluso che alla fine si arrivi ad un depotenziamento della Legge Melandri. A quel punto sarà decisivo il negoziato con i singoli club. La partita è soltanto all'inizio".

Secondo borsa italiana, dunque, non è a Mediaset che interessa il "depotenziamento", come definito sopra, della legge Melandri, bensì sarebbero "i club" a 'premere' per (confermare) la contrattazione individuale e non collettiva. A questo punto urge sapere quali sarebbero questi club, che naturalmente l'articolo di borsaitaliana non nomina. Intendo, quali altri oltre a Milan, Roma, Inter, Juve e Napoli. Le uniche squadre che sarebbero felici se tutto restasse così com'è. A mio avviso Borsaitaliana non nomina i club semplicemente perché non ce ne sono e vuol far sembrare l'abuso di Mediaset come cosa gradita al mondo pallonaro. Non è così. A Sky i diritti collettivi convengono. La tv di Murdoch non avrebbe alcun problema a sborsare 1mld di euro per comprare tutto il pacchetto serie A. Mentre Mediaset non se lo può permettere. E stavolta il canale digitale di Al Tappone e dei suoi amici arabi rimarrebbe con un pugno di mosche, visto che pure la Champions è in mano a Sky e Rai. Ecco perché con ogni probabilità il Cavaliere e le sue soubrette abrogheranno o depotenzieranno la legge Melandri-Gentiloni. Cioè, e come al solito, per interesse personale. E sennò il Caimano che ci è andato a fare al Governo? E poi, il Biscione che vede il suo Diavolo su Sky, beh, non riesco a immaginarmelo proprio.

mercoledì 3 dicembre 2008

Europei 2012, Mondiali 2018:l'Italia non c'è

di Fulvio Bianchi

Incredibili le dichiarazioni del segretario Fifa, Jerome Valcke: "Incrocio le dita sperando che non succeda nulla da qui al 2010...". Incredibili perché sa benissimo che il vero problema del Sudafrica non sono i dieci stadi, che in un modo o nell'altro, saranno pronti: il vero dramma è la violenza, la sicurezza dei tifosi. Città come Johannesburg sono pericolosissime. La Fifa ha assegnato i Mondiali del 2010 per la prima volta ad una Nazione africana, scelta questa saggia: ma il Sudafrica ha problemi sociali ed economici enormi. Come farà con le migliaia di tifosi che arriveranno da tutto il mondo? La Fifa ha pronto il piano B, di riserva: Usa (ha offerto 60 stadi...) e Australia si sono già fatte avanti. Intanto Blatter ha deciso che a dicembre del 2010 saranno assegnate due edizioni, e non solo più una, dei Mondiali: si tratta del 2018 e 2022 (quella del 2014 è già stata data al Brasile). In corsa Spagna, Inghilterra, Belgio-Olanda, sempre Usa e Australia. Ma sono in alto mare anche gli Europei 2012 che l'accoppiata Polonia-Ucraina aveva soffiato all'Italia: se salta l'Ucraina, la più indietro con i lavori, Michel Platini ha già deciso di cancellare anche la Polonia. Niente quindi Polonia-Germania come era stato studiato tempo fa. A questo punto subentrerebbe una sola Nazione: in pole position la Spagna, magari in tandem col Portogallo. Poi Germania, che ha organizzato alla perfezione i Mondiali 2006, Inghilterra e Francia. Tramontata anche l'idea di un'organizzazione congiunta Italia-Francia. A proposito: dell'Italia non c'è mai traccia, né a livello europeo né a livello mondiale. Caro presidente Abete, ma siamo davvero messi così male?