mercoledì 20 maggio 2009

L'Inter che piace: vincente e multiculturale


L'Inter straniera piace. Beha spiega il perché
di Corrado Giustiniani (da Il Messaggero)

Julio Cesar, Zanetti, Cordoba, Samuel, Chivu, Cambiasso, Muntari, Figo, Stankovic, Balotelli, Ibrahimovic. Nell'Inter scesa in campo contro il Siena, a celebrare il suo scudetto numero 17, c'era un solo italiano, Balotelli, e di pelle nera. Ma per buona parte del campionato la squadra di Mourinho si è schierata senza nemmeno un giocatore nato nella penisola. Se l'Inter appare come un'autentica “legione straniera”, nella rosa delle altre squadre i non italiani sono fra il 30 e il 40 per cento. Il calcio è multietnico, ma in questo caso nessuno si scandalizza. Ne parliamo con Oliviero Beha, giornalista e scrittore controcorrente, intelligente e coraggioso (vedi www.olivierobeha.it/ e www.italiopoli.it/) che ha pubblicato dieci giorni fa, per Chiarelettere, il suo ultimo saggio, dal titolo “I nuovi mostri”, ovvero “Nelle fauci di un'informazione truccata”.

Sugli spalti del Meazza, domenica, c'erano anche stendardi della Lega Nord. In alcuni casi il multietnico piace.
«Se i calciatori sono bravi, i sostenitori della squadra accetterebbero nella rosa diciotto neri, quindici gialli e alcuni aborigeni australiani. Solo se l'Inter invece di vincere pareggia, o addirittura perde, allora ci si accorge che c'è un solo italiano. Il discorso varrebbe anche per gli altri club, naturalmente. E mi fa ancora sorridere il ricordo di quando il presidente Lula venne in Italia e Berlusconi gli fece incontrare i giocatori brasiliani del Milan. Quelli della Roma, no: solo quelli del Milan. Naturale, li considerava suoi dipendenti».

Il presidente del Consiglio ha appena detto “no” a un'Italia multietnica.
«Un'affermazione di questo genere è sbagliata due volte. Primo, perché disconosce la realtà: l'Italia è già multietnica, il pianeta è multietnico. Secondo perché insinua un falso dubbio nella testa degli italiani, che in questo momento per varie ragioni sembra essere non molto piena, non molto vigile».

Ma insomma, perché l'immigrato no, il calciatore sì?

«Perché il brasiliano Ronaldinho, il ghanese Muntari e lo svedese di origine slava Ibrahimovic sono accomunati dal valore calcistico e dal denaro. La multietnicità viene accettata perché il denaro eleva il discorso, che invece sprofonda quando il denaro non c'è».

Mario Balotelli a Torino meritava semplicemente fischi, per i suoi falli ripetuti e le proteste verso l'arbitro, non i “buuh” dei tifosi.

«Il razzismo nasce dalla stupidità e dalla maleducazione. Quei tifosi non avrebbero mai attaccato il “loro” Sissoko, che è nero come Mario. Il tifoso è un destrutturato per antonomasia. Un semplice appassionato che abbia cultura ed educazione, quando sostiene la sua squadra censura coscientemente, nella sua testa, tutte le porcherie e le magagne del calcio, e questa operazione lo rende automaticamente moderato. Il tifoso no. La sua stupidità è uno scivolo verso il razzismo».

Nel tuo ultimo libro ti occupi di informazione e di giornali. Come si comportano, in questo caso?
«Male. Sono il catalizzatore del razzismo. Perché hanno capito che il razzismo rende molto di più dell'antirazzismo».

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