domenica 6 gennaio 2008

Don Paparé

Pare che Paparesta avesse chiesto ai vertici Federali di tornare ad arbitrare. Al più presto. E del resto come dargli torto? Corsi e ricorsi della giustizia sportiva avevano progressivamente sgonfiato quel fenomeno battezzato come Calciopoli, che qualcuno forse troppo precocemente aveva definito “il più grande scandalo del calcio italiano”. Solo il “povero” Moggi, anche lui in odor di “grazia”, ancora paga ufficialmente per le malefatte (già, perchè poi Lucianone è rientrato dalla porta di servizio come Calciopoli 2 sta a dimostrare); gli altri, tra appelli vari, sono tornati tutti in corsa. Più o meno puliti, ma comunque pronti a definirsi innocenti. Paparesta in fondo che male aveva fatto? La semplice violazione dell’articolo 1 (lealtà sportiva) del CGS (Codice di giustizia sportiva) per i fatti seguenti a Reggina-Juve, la partita nel quale il nostro era stato chiuso nel suo spogliatoio assieme ai due assistenti Di Mauro e Copelli dall’allora dg bianconero, Lucianone Moggi. Che se l’era presa col guardalinee Copelli, reo di non avere visto un rigore in favore della Vecchia Signora, tanto da minacciarlo verbalmente e fisicamente. Stessa cosa per l’altro assistente, Di Mauro, che s’era ritrovato il dito indice del Lucianone in primissimo piano, così grande che avrebbe potuto scambiarlo per una vitella chianina. Ma Paparesta aveva chiuso un occhio, anzi tutt’e due, e non aveva scritto alcunché sul referto arbitrale violando appunto la “deontologia” professionale. Era stato muto, come del resto l’ex osservatore Ingargiola, che al telefono con Lanese aveva chiarito che lui lì aveva assistito alla scena, ma che no, non avrebbe proferito parola alcuna... Insomma, mica si può condannare uno che ha fatto il proprio dovere non facendo la spia. Già, perché a Paparesta gli spioni non piacciono proprio. Se una cosa si deve fare, beh, non è che bisogna dirla a tutti. E se proprio c'è da parlare, meglio usare un telefono criptato... con sim svizzera. Eh, la Svizzera. Con le sue banche e i conti cifrati, lì si che conoscono il senso profondo della parola "discrezione". Arriviamo così all'ultimo tassello di questa "Paparesta story" (che potete approfondire nel post qui sotto). Infatti, ieri, l'arbitro è stato nuovamente deferito, stavolta per un conflitto d’interessi, guarda il caso, non dichiarato. Aveva infatti chiesto a Meani, di nascosto, l’aiu­to dei dirigenti del Milan per favorire una società, l’Ital Bi Oil, in cui figura tra i soci la propria moglie. Una faccenda che cozza con il suo ruolo d’imparziale arbitro. Ma non con la sua scala di valori. Quelli della "famigghia" italiana, dove se tieni la bocca cucita campi almeno cent'anni. Vero, Don Paparé?

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