Dopo la sentenza del Tar del Lazio - che mercoledì scorso si è pronunciato in merito agli atti della Caf su Calciopoli e sull'inibizione di 5 anni inflitta a Lucky Luciano, ritenendoli provvedimenti del tutto legittimi - il Moggi non potrà più andare in giro a dire che è stato vittima di un processo illecito. Un processo che secondo l'ex ferroviere aveva ingiustamente assommato tanti art.1 (slealtà sportiva) per totalizzare un art.6 (illecito sportivo - che è anche un reato penale, ndr); un risultato che i suoi avvocati avevano stigmatizzato in uno slogan: "Tanti piccoli reati non fanno un omicidio".
In questo blog, noi che le sentenze sportive le leggiamo, avevamo a più riprese denunciato questa disinformatja, o il suo tentativo, che Moggi e il suo clan stavano cercando di operare, demistificando quanto espresso dalla giustizia sportiva. Intendiamoci: il Moggi poteva e può interpretare come vuole le sanzioni a lui ascritte. Ci chiedevamo solo come mai nessuno lo avesse mai contraddetto. Nè i lettori di Libero e Petrus, nè i conduttori delle numerose trasmissioni tv in cui è stato ospite.
Ora il Tar gli ha dato torto e Moggi, solitamente logorroico da quando è scoppiato lo scandalo, non ha rilasciato dichiarazione alcuna. Certamente ricorrerà al Consiglio di Stato, ma questo è un altro paio di maniche. Per il momento, non conoscendo le contromosse che lui e il suo 'staff' stanno preparando, soffermiamoci sulla sentenza di mercoledì. I punti focali sembra siano sostanzialmente tre: 1) sull'alterazione della classifica del campionato 2004-2005; 2) sul difetto di giurisdizione; 3) se la Juve avesse fatto bene oppure no a ricorrere (per legittimo interesse) al Tar.
1) Da ogni pulpito mediatico (internet, stampa, tv e radio; insomma, nessuno escuso), il Moggi ha sempre sostenuto di essere stato condannato dalla giutizia sportiva a 5 anni di inibizione da tutte le cariche federali 'solo' per aver commesso 'reati' di slealtà sportiva (art.1) e non di illecito (art.6), reato peraltro penalmente rilevante. Con la sentenza di mercoledì, il Tar ha invece respinto "l'assioma moggiano", facendo chiarezza in materia. "Per illecito sportivo- ha scritto il Tar nella sentenza motivata di 33 pagine- si è inteso qualificare e severamente sanzionare non solo l'avvenuta alterazione, con mezzi fraudolenti, del risultato sportivo, ma, a monte e innanzitutto, la creazione di una struttura sapientemente articolata e fondata su interessati rapporti con i centri decisionali della federazione e della classe arbitrale". Questa struttura secondo i giudici del Tar aveva lo scopo "di ingenarare a suo favore una situazione di sudditanza psicologica da parte sia degli arbitri, condizionandone l'operato a mezzo dello strumento delle designazioni affidate a persone facenti parte della struttura su menzionata (le famigerate 'griglie', ndr), che delle altre società, boicottandole non solo sul piano strettamente competitivo ma anche su quello del mercato delle acquisizioni" (in quest'ultimo caso, il riferimento è alla Gea World, ndr). Sempre secondo il Tar, la c.d. sudditanza psicologica era "realizzata attraverso il concorso di un arbitro compiacente e disponibile a non vedere all'occorrenza falli compiuti sul campo da giocatori della società protetta (non solo la Juve, ndr) e a intervenire con severità su quelli, esistenti o no, imputati ai giocatori della squadra avversaria". "In sostanza- ha proseguito il Tar nella sua sentenza- l'illecito sportivo si configura come illecito di pericolo, a consumazione anticipata, concretandosi nel compimento, con qualsiasi mezzo, di atti funzionalmente preordinati ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara, ovvero assicurare un vantaggio in classifica". Inoltre, come ha sritto Corrado Zunino su La Repubblica, il Tar ha anche ritenuto che le prove, anche se derivanti 'solo' da intecettazioni telefoniche, sono "certamente sufficienti a supportare l'intero impianto accusatorio".
2) La seconda questione che gli avvocati dell'ex ferroviere di Civitavecchia hanno sollevato in aula, è relativa al "difetto di giurisdizione", ovvero se la Procura Federale fosse competente o meno a giudicare il Moggi, visto che s'era dimesso dalla carica di direttore generale della Juve prima di diventare l'imputato numero 1 del processo sportivo davanti alla Caf. Ebbene, anche su questo punto il Tar non ha avuto dubbi e ha scritto: "le sanzioni in questione, per la loro particolare natura assumono rilevanza anche al di fuori dell'ordinamento sportivo ove solo si considerino non solo i riflessi sul piano economico (il ricorrente potrebbe essere chiamato a rispondere, a titolo risarcitorio, sia dalla Juventus, società quotata in Borsa, sia dai singoli azionisti - cosa che però non è avvenuta, ndr) ma anche e soprattutto il giudizio di disvalore che da detta sanzione discende sulla personalità del soggetto in questione in tutti i rapporti sociali". Per il Tar quindi non c'è stato alcun "difetto di giurisdizione".
3) Infine una considerazione. Il Corriere dello Sport di ieri, in un articolo apparso a pag. 27 e non firmato, ha messo in evidenza quanto a suo tempo la Juve abbia fatto bene a rinunciare a ricorrere al Tar per annullare la sentanza su Calciopoli. I bianconeri, alla luce di quanto sentenziato mercoledì, avrebbero infatti avuto torto e dunque subito sanzioni ancora più pesanti di quelle ricevute (la B, i punti di penalità e 2 scudetti). Non ricorrendo invece, Cobolli Gigli è riuscito a ottenere uno sconto di 8 punti in Camera di Conciliazione del Coni, il quale ha voluto premiare il 'cambio di rotta' della società bianconera e la sua assunsione di responsabilità finalizzata ad aprire un nuovo ciclo, finalmente virtuoso. Tutto quello che Moggi invece non vuol proprio fare.
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