di Adriano Stabile (Spysport)
Se l'intento era quello di sparigliare le carte il tentativo non è riuscito. Ne sono convinti gli inquirenti per i quali, dopo la movimentata udienza di martedì scorso al processo Calciopoli, l'impianto accusatorio resta ben saldo. Anzi, a dar conto delle indiscrezioni che trapelano negli ambienti della procura, l'accusa ritiene di aver incassato proprio da quell'udienza persino un paio di punti a favore.
In primo luogo, le intercettazioni «inedite», trascritte dai consulenti di Luciano Moggi e che la sua difesa ha chiesto di acquisire agli atti, secondo i magistrati, non introducono nel processo elementi tali da attenuare il coinvolgimento dell'ex dg della Juventus. Né le conversazioni in cui compaiono altri dirigenti e esponenti del mondo del calcio (Facchetti, Moratti, Galliani, Cellino, Spalletti, ecc) aprirebbero scenari nuovi, in quanto vi sarebbe la conferma della tesi del «così fan tutti», ovvero che i contatti con il mondo arbitrale da parte dei vertici delle società fossero un fenomeno generalizzato e non un'esclusiva di Moggi.
Il punto, ha più volte sottolineato la procura, non è questo. Non sono assimilabili i comportamenti che emergono dalle telefonate con le iniziative tendenti ad alterare i risultati dei campionati: un conto è conversare al telefono un altro stipulare accordi illeciti (che è la principale accusa contestata nei capi di imputazione). Le 75 intercettazioni indicate dalla difesa di Moggi - e che saranno acquisite certamente alla prossima udienza del 20 aprile - dunque non «spostano alcunchè», così spiegò a caldo il pm Giuseppe Narducci. E il successivo accurato esame delle telefonate svolto dai pm avrebbe rafforzato nei magistrati il convincimento che si tratta di telefonate irrilevanti sia sotto il profilo penale sia sotto l'aspetto investigativo e dunque un'arma spuntata nelle mani della difesa. E anche sulla telefonata definita dalla difesa di Moggi come "la madre di tutte le intercettazioni" i magistrati ritengono di aver acquisito un dato certo: non è l'allora dirigente dell'Inter Giacinto Facchetti, alla vigilia dell'incontro con la Juventus, a fare il nome di Collina durante la conversazione con il designatore Paolo Bergamo. Dunque non sarebbe l'ex nazionale, scomparso nel 2006, a suggerire a Bergamo di inserire il nome dell'arbitro nella griglia («metti dentro Collina», era la frase attribuita a Facchetti dai consulenti di Moggi).
Ma c'è un fatto nuovo - rilevano gli inquirenti - emerso dall'udienza di martedì la cui importanza probabilmente non è stato compresa a pieno per il clamore mediatico riservato alle intercettazioni: per la prima volta Moggi avrebbe ammesso, sia pure in modo implicito, il possesso di schede sim estere per conversazioni riservate. Ciò sarebbe venuto alla luce dalle stesse domande della difesa dell'ex dg bianconero quando, nel corso del controesame del colonnello dei carabinieri Attilio Auricchio, è stato sottolineato che Moggi adoperava cautele, ma allo scopo di parlare in maniera riservata di operazioni di calciomercato. Per tale motivo in seguito il pm aveva chiesto all'investigatore se, oltre che designatori e arbitri, anche operatori di mercato risultassero aver utilizzato le schede sim individuate nel corso delle indagini. L'ufficiale aveva risposto negativamente. Per i magistrati della procura la circostanza rappresenta un dato di assoluto rilievo, in quanto mai Moggi ha fatto ammissioni in relazione alla questione delle sim estere.
I pm Giuseppe Narducci e Stefano Capuano sono intanto al lavoro in preparazione della prossima udienza. Non si escludono, secondo le voci raccolte, nuove iniziative da parte degli inquirenti. Questa volta il "coup de theatre" potrebbe riservarlo l'accusa.
venerdì 16 aprile 2010
Calciopoli, l'accusa è tranquilla: Moggi ha ammesso di avere le sim estere
alle 02:41
Etichette: Nuova Calciopoli
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