lunedì 10 novembre 2008

La serie B che sta morendo

Ci ha scritto Enrico:
"Buongiorno, vorrei suggerire un argomento, e cioè la crisi economica del campionato di Serie B, che come dice un articolo di Repubblica di ieri sta morendo. Non si tratta semplicemente di essere nostalgici per i tempi in cui non esistevano pay-tv anticipi e posticipi, ma è davvero inaccettabile che si prenda la strada dell'autodistruzione, cominciando con la penalizzazione di quello che è il campionato italiano più bello e interessante, sicuramente più della serie A. Il tutto nell'indifferenza generale".

Caro Enrico,
le sue preoccupazioni su ciò che sta accadendo alla serie B sono ampiamente condivisibili, e certamente si troveranno d'accordo con lei tutti i tifosi di quelle squadre che appartengono alle cosiddette serie minori. Come lei sa e come anche l'articolo di Repubblica mi sembra dica, i mali sono noti, il problema casomai è come farvi fronte.
Andando un po' a braccio, perché sinceramente non sono un grande esperto di questioni economiche, mi sembra che in questi ultimi anni i presidenti di B siano i primi responsabili della situazione in atto. La colpa maggiore, forse, è quella di non aver mai guardato al di là del proprio naso e di non essersi mai considerati parte di un gruppo, di una categoria. Forse, Enrico, quello che lei mi chiede non è tanto di individuare delle responsabilità quanto di iniziare a parlare del problema. Ma credo che per una sana discussione, utile per il futuro, non si possa prescindere da ciò che è stato fatto o non fatto finora. E questo, inevitabilmente, ci porta a parlare degli errori, magari fatti in buona fede, ma dei quali si può parlare serenamente ex-post. E dunque, vediamoli questi errori (in gran parte mutuati dalle dichiarazioni rilasciate da Sergio Gasparin a Gazzetta e apparse sul quotidiano il 16.10.2008) fatti dai club di serie B:

1) In primo luogo hanno accettato senza colpo ferire il passaggio della vendita dei diritti tv da collettiva a soggettiva. Era chiaro allora come oggi, che la vendita soggettiva avrebbe favorito i club più prestigiosi, circostanziati nelle metropoli e dunque con grandi bacini d'utenza. Che cosa ci abbiano guadagnato i presidenti delle società medio-piccole non è chiaro, ma si può immaginare che possano aver ricevuto, non tutti beninteso, vantaggi sia da un punto di vista prettamente calcistico (prestiti di giocatori, amichevoli estive con grandi club e altro) sia extra (subappalti, partnership, etc).

2) Quando nel 2006, dopo Calciopoli, nel campionato di B c'erano Juve, Napoli e Genoa non sfruttarono queste presenze per sottoscrivere contratti a lungo termine con le televisioni coinvolte (Mediaset, Rai e Sky).

3) Aver accettato nel 2003, dopo il caso Catania e il ripescaggio della Fiorentina, l'allargamento del campionato a 22 squadre (da 18). Un fatto che ha ridotto la fetta d'introiti da spartirsi e che nel lungo tempo si è dimostrata devastante.

4) Non aver investito nei vivai, o comunque nei giovani, che da sempre erano una delle risorse per incamerare denaro liquido (l'ultimo grande affare è stato quello del passaggio di Cassano dal Bari alla Roma per 50 mld di lire risalente al 2001). I presidenti delle società medio-piccole hanno preferito invece puntare su gente d'esperienza per paura di precipitare in C, considerato come l'inferno, e oggi si ritrovano con un pugno di mosche visto che ora l'inferno è salito di una categoria. Ovviamente questo ha inciso sui costi, gli stessi che i presidenti di oggi chiedono all'Aic di spalmare o raitezzare.

Fatte queste premesse, bisogna aggiungere che i club di serie B in questi ultimi anni hanno visto erodere progressivamente la loro quota derivante dalle mutualità dalla A alla B. Passata dai 5mln di euro a testa nel 2004-2005, ai 4,2 del 2007-2008 e che dal prossimo anno sarà di soli 3,5mln cadauno.

Dunque, che fare?
Si parla di rateizzazione e di spalmatura dei contratti, dunque di contenimento dei costi. Un'operazione difficile, ma che mi sembra tutti i presidenti di B stiano adottando. Ma ciò non basterà. Dovranno necessariamente aumentare il capitale sociale o comunque immettere denaro fresco nei club. Poi, si dovrà puntare sui giovani e su osservatori in grado di scovare il talento lì dove nessuno lo avrebbe creduto possibile. Ma soprattutto devono sentirsi una categoria, che ha interessi comuni e che prende le decisioni insieme, senza che qualcuno si lasci ammaliare da prospettive vantaggiose per lui, ma dannose per gli altri. Perché un campionato, sia esso di B o A, lo si gioca insieme. Solo con un accordo generale, infatti, sarà possibile in futuro ridurre il numero di squadre, magari riportando il loro numero a 18. E infine la serie A deve iniziare a capire che A e B non sono due cose separate, ma che per creare un movimento vincente nel mondo c'è bisogno di tutti, B compresa. Ma la B qualcosa deve offrire, non può mica stare solo a piangere denari.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie per aver accolto il mio invito. La sua analisi è lucida e condivisibile. Penso comunque che le colpe del "caso-Catania" siano in toto da attribuire alla disinvoltura con cui il Consiglio Federale è abituato a violare le stesse regole dell'ordinamento sportivo, fra i consensi della stampa. Ritengo inoltre che le penalizzazioni per problemi finanziari dovrebbero essere inflitte pure alle grandi della Serie A che, come è noto, hanno bilanci in rosso. In questo modo si può forse spingere anche i grandi a curare i bilanci.

Italo Mastrangeli ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Italo Mastrangeli ha detto...

Comunque, Enrico, al di là delle colpe e delle responsabilità del passato, sono completamente d'accordo con te quando dici che chi fa informazione dovrebbe occuparsi di più della B, dei suoi problemi e delle magagne che vi circolano. Anche alla Leggendadelcalcio non è che ce ne siamo occupati poi molto e spero che questa lacuna potrà essere colmata in futuro.